Crowdfounding per Milex, il nuovo osservatorio sulla spesa militare italiana. Su “Riforma” intervista ad Enrico Piovesana

Da pochi giorni è stata lanciata una campagna di finanziamento per un nuovo osservatorio sulla spesa militare italiana, Milex. La Rete italiana per il Disarmo e il Movimento Nonviolento sono tra gli ispiratori di questa iniziativa, che ha lo scopo di lavorare per rendere più trasparenti le spese belliche che ogni anno l’Italia sostiene, e che in molti casi avvengono nell’ombra. Milex raccoglierà, analizzerà e diffonderà dati per sensibilizzare i cittadini, ma soprattutto per creare consapevolezza negli stessi rappresentanti istituzionali e negli operatori dell’informazione. Ne abbiamo parlato con Enrico Piovesana, giornalista, esperto di difesa e spese militari, ex inviato di guerra di Peacereporter e collaboratore del Fatto Quotidiano, ideatore dell’osservatorio insieme a Francesco Vignarca, della Rete Disarmo.

Progetto MilexChe differenza c’è con gli altri strumenti che informano sul disarmo?

«Milex vuole essere uno strumento che, attraverso la raccolta di informazioni, notizie e documenti, riesca a monitorare costantemente le spese militari e come primo passo produrre un rapporto annuale che in questo momento non esiste. Un’analisi critica e obiettiva, poiché sono diverse le fonti con cui la difesa si alimenta: gran parte degli acquisti degli armamenti, per esempio, non sono sostenuti dal ministero della Difesa, ma da quello dello Sviluppo economico, che destina i tre quarti del suo bilancio ogni anno all’industria militare. Ci sono elementi che vanno approfonditi o scoperti, perché molte pieghe dei bilanci sono difficili da interpretare e la difesa tradizionalmente è poco trasparente nel fornire informazioni dettagliate sui programmi: spesso cifre significative spariscono dai rapporti; un esempio in questo senso è quello sugli F-35. Bisogna ricostruire le spese fatte di anno in anno secondo complessi parametri contrattuali: è un grosso lavoro che inizierà con me e Francesco Vignarca con il sostegno del Movimento Nonviolento. Capire e poi spiegare queste spese non è mai facile».

Quindi vi è anche l’obiettivo politico di stimolare il dibattito parlamentare sulla trasparenza?

«Assolutamente sì. L’osservatorio non ha un obiettivo antimilitarista a priori, ma solo quello della trasparenza, per permettere il controllo democratico su questa importante voce di spesa. Sulle esportazioni di armi la situazione in passato era paradossalmente più chiara, ma per la Difesa, invece, la situazione è sempre la stessa: dal 2012 il Parlamento è riuscito a conquistare un limitato potere di controllo sulle spese militari. Quando nel 2013 ha provato a metterlo in atto si è scontrato contro un muro di gomma da parte delle lobby politico-militari-industriali italiane e non solo, che sono riuscite a bloccare ogni tentativo reale di incidere da parte del Parlamento. Uno scontro duro che è culminato con le parole di Napolitano che, in modo del tutto irrituale, aveva detto che sulle spese militari il Parlamento non aveva il diritto di esprimersi. Ci furono forti pressioni di alcuni ministeri, e di questo si è sempre saputo poco».

È anche una questione di informazione, quindi?

«L’informazione non è solo quella che esce fuori, al pubblico, ma anche quella che arriva ai parlamentari, che sono coloro che devono valutare attentamente spese di miliardi di euro prima di approvarle. A loro per primi vengono date informazioni parziali, distorte, manchevoli di elementi. Uno per tutti è il caso delle navi presentate dall’ex capo di stato maggiore della Marina, Giuseppe De Giorgi, come delle piccole navi umanitarie: approfondendo è venuto fuori che una di queste navi è una seconda portaerei per gli F-35 e le altre sono fregate missilistiche che si sommano a quelle già acquistate, facendo diventare la nostra Marina la più grande del Mediterraneo. Queste informazioni i parlamentari non le avevano, e hanno votato per 5,4 miliardi di euro lo scorso anno: non per colpa loro, poiché avevano chiesto le informazioni ma la Difesa non le ha date. Un problema davvero grande. Aumentare l’informazione vuol dire aumentare la sensibilità della cittadinanza ma anche la consapevolezza nei rappresentanti istituzionali e negli operatori dell’informazione. Mancando i soldi per mantenere tutte le nuove armi che si comprano, si va ad attingere dai fondi per le missioni all’estero, che diventano vitali per mantenere operativi gli strumenti militari. In questo modo la politica è sempre più spinta ad aderire alle missioni per avere fondi per pagare il personale e le armi: è un circolo vizioso assurdo».

Articolo originale al link > http://riforma.it/it/articolo/2016/07/04/la-difficile-strada-della-trasparenza-sulle-spese-militari