Preambolo. Alla fine del 2013 infuriò per mesi la polemica sullo “scivolo d’oro” per i militari in esubero proposto dal governo Letta (Mario Mauro alla Difesa): 10 anni di esenzione dal servizio a partire dai 50 anni di età continuando a percepire l’85 per cento dello stipendio. La proposta fu unanimemente giudicata uno scandalo e quindi ritirata a gennaio 2014.

Nessuno però si accorse che il governo riuscì comunque a portare a casa un risultato molto gradito ai militari di ogni grado. Il decreto legislativo n. 8 del 28 gennaio 2014 estendeva infatti ai gradi di tenente colonnello/capitano di fregata e ai sottufficiali in esubero il già esistente istituto dell’aspettativa per riduzione quadri (ARQ), ovvero i 5 anni di esenzione dal servizio a partire dai 55 anni di età continuando a percepire il 95 per cento dello stipendio. Istituto introdotto nel 1997 dal governo Prodi (Andreatta alla Difesa) cui potevano accedere solo gli alti ufficiali: generali/ammiragli e colonnelli/capitani di vascello.

Ma la vera “rivincita” dei militari arriva due anni più tardi, senza clamore e senza polemiche, quando il governo Renzi (Pinotti alla Difesa) con il decreto legislativo n. 91 del 26 aprile 2016 allunga l’ARQ da 5 a 7 anni anticipandone l’accesso a 53 anni e abolendo l’obbligo di aver maturato i requisiti per la pensione anticipata. Tre anni in meno ma 10 per cento in più rispetto allo “scivolo d’oro” bocciato nel 2014.

 

A rompere il lungo silenzio sull’ARQ è oggi la Corte dei Conti che, nella sua relazione sul rendiconto generale dello Stato 2016, critica questo istituto come un sistema per raggiungere gli obiettivi annuali di riduzione del personale stabiliti dalla Riforma Di Paola del 2012 che però grava eccessivamente sulle casse dello Stato.

“Il collocamento in ARQ del personale – si legge nella relazione – è utilizzato per gestire gli organici in modo da raggiungere gli obiettivi annuali, tuttavia ha un costo elevato per lo Stato: il personale in ARQ, infatti, pur essendo esonerato dal servizio, percepisce il 95 per cento dello stipendio, dell’assegno pensionabile, dell’indennità di impiego operativo di base, maggiorata del c.d. trascinamento maturato, e dell’indennità perequativa, nonché il 100 per cento dell’indennità integrativa speciale e degli assegni per il nucleo familiare (art. 1821 del COM); nel contempo, le ritenute previdenziali e assistenziali sono calcolate sull’intero importo delle retribuzioni percepite. Irrilevanti, invece, sono i risparmi (5 per cento di parte degli emolumenti, il vitto, il rinnovo del vestiario), mentre le indennità accessorie correlate alla presenza in servizio vengono ridistribuite tra il personale ancora in servizio”.

La relazione della Corte dei Conti prosegue spiegando quale sia il costo dell’ARQ per lo Stato: “Per effetto dell’ARQ, nel 2016 sono stati esonerati dal servizio 226 dirigenti (215 colonnelli, 12 generali di brigata e 1 generale di divisione) sostenendo comunque costi per 27,5 milioni e risparmiando, rispetto al mantenimento in servizio, secondo le stime della Difesa, circa 968.272 euro. Al 1° gennaio 2016, complessivamente erano in ARQ 22 generali e 372 colonnelli, al 31 dicembre, 15 generali e 353 colonnelli (il decalage è dovuto in sostanza al transito in ausiliaria a domanda)”, per un costo approssimativo – questo la Corte dei Conti non lo specifica – di 45 milioni di euro.

Costo destinato inevitabilmente ad aumentare con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 94 del 29 maggio scorso sul riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle forze armate che prevede aumenti retributivi generalizzati per 400 milioni di euro ogni anno, di cui beneficeranno in particolare i circa diecimila ufficiali superiori  promossi per decreto da “direttivi” sottoposti a contratto pubblico a “dirigenti” con tutti gli aumenti automatici previsti per le carriere dirigenziali. Aumentando le retribuzioni, aumenterà automaticamente anche il costo dell’ARQ.