Afghanistan. Un territorio che, dal 2001, è teatro di numerosi conflitti. Il perché lo riassume il Corriere della Sera in uno speciale di un paio di anni fa:
«La nuova guerra americana comincia al mattino presto, cinque ore prima dell’attacco all’Afghanistan. Con una serie di riunioni al Pentagono, nella quali gli ospiti fissi sono il viceministro della Difesa Paul Wolfowitz, il generale Richard Myers, capo delle operazioni militari, il suo numero due, Peter Pace. Briefing domenicali, giudicati “inusuali”. Sono il segnale che qualcosa sta per accadere. Nessuna smentita, anzi». Inizia così, sul Corriere della Sera di lunedì 8 ottobre 2001, l’articolo dell’inviato a Washington Marco Imarisio sull’inizio dell’attacco al regime dei talebani in Afghanistan. La macchina bellica americana era pronta per l’attacco al «Paese canaglia», accusato di ospitare il nemico pubblico Osama bin Laden e altri protagonisti del terribile attentato dell’11 settembre.
IL RAPPORTO DI MILEX
Una guerra in cui anche l’Italia ha preso parte e prende parte. Ma quanto è costato alle casse del nostro paese imbracciare armi e fucili?
Milex – Osservatorio sulle Spese Militari ha provato a dare una risposta a questa domanda tracciando un quadro generale sull’argomento.
Nel rapporto “Afghanistan. Sedici anni dopo”, pubblicato nell’ottobre 2017, si legge infatti: «Partiamo dalla premessa che calcolare in modo preciso ed esaustivo il costo finanziario di una campagna militare all’estero è molto difficile, dato che ai costi ufficiali “diretti” si aggiungono costi “indiretti” che non sono riportati nei documenti pubblici e che sono quindi impossibili da quantificare».
Ci si riferisce, in questo caso, a costi quali: l’acquisizione ad hoc di nuovi mezzi da combattimento e nuovi armamenti, aggiornamento sistemi d’arma esistenti in relazioni alle esigenze emerse nel corso dell’impiego in teatro operativo, ripristino scorte munizioni, addestramento specifico del personale e costi sanitari delle cure per i reduci feriti e mutilati.
Tutte spese «che l’apparato della Difesa e altre amministrazioni pubbliche devono sostenere per esigenze direttamente connesse alle operazioni in corso, ma che non figurano come tali e che quindi non sono computabili. Ad esempio, il costo ufficiale della guerra in Afghanistan sostenuto per gli Stati Uniti dal 2001 a oggi è di 827 miliardi di dollari (attualmente circa 45 miliardi l’anno) ma se si sommano questi costi aggiuntivi – accuratamente stimati da analisti delle università americane Harvard e Brown la cifra raddoppia».
Se ci si dovesse attenere solo alla spesa ufficiale, la guerra in Afghanistan dal 2001 al 2017 è costata «a tutti i Paesi che vi hanno partecipato all’incirca 900 miliardi dollari: circa 28 mila dollari per ogni cittadino afgano — cifra enorme se confrontata al 12 reddito annuo medio afgano di circa 600 dollari».
IL CASO ITALIA
Il capitolo riguardante il nostro paese, andando a vedere le tre missioni internazionali a cui abbiamo partecipato (Enduring Freedom fino al 2006, ISAF fino 2014, Resolute Support dal 2015), vede un costo sostenuto fino adesso che si attesta sui 6,3 miliardi di euro. Più o meno un milione di euro al giorno.
«A questo costo ‘netto’ – scrivono gli esperti di Milex – va aggiunto l’esborso di 360 milioni a sostegno delle forze armate afgane(120 milioni l’anno a partire dal 2015) e circa 900 milioni di spese aggiuntive relative al trasporto truppe, mezzi e materiali da e per l’Italia, alla costruzione di basi e altre infrastrutture militari in teatro, al supporto operativo della Task Force Air (Emirati, Qatar e Bahrein) e degli ufficiali di collegamento distaccati presso Comando Centrale USA di Tampa, Florida, al supporto d’intelligence degli agenti AISE, della protezione attiva e passiva delle basi, al supporto sanitario del personale della Croce Rossa Italiana, alla protezione delle sedi diplomatiche nazionali e alle attività umanitarie militari strumentali (CIMIC, classificate all’estero, con più realismo, come Psy Ops, cioè guerra psicologica: aiuti in cambio di informazioni)».
Ecco quindi che la cifra lievita, sforando i 7,5 miliardi di euro.
Valeva la pena?