Dai calcoli svolti da Osservatorio Mil€x e Ilfattoquotidiano.it sul Documento programmatico pluriennale (Dpp) del ministero della Difesa, emerge che, all’anno 2020, la spesa prevista per la costruzione di tutte le dieci nuove fregate ammonta a 5 miliardi 992 milioni e 330mila euro: circa 1,2 miliardi per una coppia di navi. Ma i documenti ufficiali relativi all’affare in nostro possesso dicono che la “Spartaco Schergat” e la “Emilo Bianchi” sono state vendute ad al-Sisi a 990 milioni. Una perdita alla quale devono essere poi aggiunti i costi di gestione, gli interessi sui mutui e la spesa per lo smantellamento delle tecnologie Nato che possono far crescere il passivo fino alla cifra di 556 milioni di euro. Fonti Farnesina: “Nessuna competenza sulle cifre”. Fincantieri e Leonardo non commentano l’operazione
La vendita delle due fregate Fremm “Spartaco Schergat” ed “Emilio Bianchi” all’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi aveva scatenato dure critiche, anche all’interno della maggioranza, nei confronti del governo allora guidato da Giuseppe Conte. Attacchi dovuti al fatto che il nostro Paese, nonostante in Egitto si continuino a violare sistematicamente i diritti umani e ostacolare le indagini sull’uccisione di Giulio Regeni, decideva di armare la mano del regime. L’8 giugno 2020 la svolta definitiva: il premier, dopo un incontro con l’uomo forte del Cairo, aveva dato il via libera all’operazione che sarà poi approvata anche in sede di Consiglio dei ministri, tanto che i genitori del ricercatore di Fiumicello si decisero a denunciare il governo per la presunta violazione della legge 185/90 che non permette l’export di armamenti verso Paesi che non rispettano i diritti umani. Pochi giorni dopo la decisione di Conte, fu il capo politico del M5s, Vito Crimi, intervistato il 10 giugno 2020 da Peter Gomez a Sono le Venti sul Nove, a fornire quella che sarebbe presto diventata la versione ufficiale adottata dall’esecutivo: “Non stiamo regalando le fregate all’Egitto, le stiamo vendendo. È una manovra di tipo economico“. Il 16 luglio, di fronte alla commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Erasmo Palazzotto, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, esprimerà i suoi “dubbi che la vendita di questi prodotti (nell’ambito di una maxi-commessa da 9-11 miliardi di euro, ndr) si possa intendere come un favore dell’Italia all’Egitto, anche perché ci sono altri Paesi pronti a fare lo stesso”. Un affare commerciale, quindi, che non “inficia la ricerca della verità” su Giulio Regeni e che deve essere separato dalle battaglie in favore dei diritti umani. Ma dai documenti ottenuti in esclusiva da Ilfattoquotidiano.it emerge che, oltre a sollevare dubbi sull’opportunità di vendere armi a un regime autoritario, i cui apparati sono accusati di aver torturato e ucciso il giovane italiano, l’operazione non può nemmeno essere definita un “affare”: mettendo a confronto i costi per l’acquisizione delle due navi inizialmente destinate alla Marina Militare e i ricavi ottenuti dall’operazione con Il Cairo, si può concludere che Fincantieri, controllata da Cassa Depositi e Prestiti, ha ceduto i due mezzi all’Egitto con uno sconto di almeno 210 milioni di euro rispetto al prezzo applicato alla Difesa italiana.
Per arrivare a questa conclusione è necessario calcolare il costo sostenuto dalla Difesa per le dieci fregate previste dal programma Fremm del 2006 che aveva lo scopo di rinnovare la linea delle unità della Marina Militare. La “Spartaco Schergat” e la “Emilio Bianchi” erano rispettivamente la nona e decima nave, quelle che avrebbero dovuto portare alla chiusura della nuova fornitura prevista. Secondo i calcoli svolti dall’Osservatorio Mil€x sulle spese militari italiane e da Ilfattoquotidiano.it che prendono in esame il Documento programmatico pluriennale (Dpp) del ministero della Difesa, emerge che, all’anno 2020, la spesa prevista per la costruzione di tutte le dieci nuove fregate ammonta a 5 miliardi 992 milioni e 330mila euro, poco più di 599 milioni per ogni fregata. Questo vuol dire che, solo per ottenere indietro il valore attribuito alle due navi, il costo per la Difesa del Cairo sarebbe dovuto essere, per entrambe, di circa 1,2 miliardi di euro, esattamente la cifra circolata nei mesi scorsi sugli organi di stampa. Ma Ilfattoquotidiano.it ha avuto accesso ai documenti ufficiali dell’operazione che raccontano una realtà molto diversa: il valore del “contratto” stipulato con l’Egitto è di 990 milioni di euro per entrambe le navi, 210 milioni di euro in meno rispetto al prezzo concordato tra Fincantieri e lo Stato italiano.
A questo punto, le opzioni sono due. O Fincantieri, che ripetiamo essere controllata da Cassa Depositi e Prestiti, vende sottocosto all’Egitto, e quindi c’è da domandarsi perché, oltre a non essere un affare, una controllata pubblica svenda dei mezzi destinati alla Marina Italiana al Cairo. Oppure, seconda possibilità, l’azienda ha applicato alla Difesa italiana un prezzo maggiorato rispetto a quello di mercato che, su un totale di dieci navi previste dal programma, farebbe lievitare i costi per lo Stato (e per i contribuenti) di 1 miliardo e 50 milioni di euro.
Già così appare difficile giustificare l’operazione definendola “una manovra di tipo economico” favorevole per l’Italia. Ma la differenza di prezzo appare ancora più marcata se alla spesa dello Stato per le due navi si aggiungono gli interessi sui mutui accesi per finanziare il progetto e la spesa per lo smantellamento dei sistemi e le tecnologie Nato installati sulle due navi, visto che l’Egitto non fa parte del Patto Atlantico. L’Osservatorio Mil€x ha calcolato il totale degli interessi da quando il ministero dello Sviluppo Economico li rende disponibili, ossia dal 2014, a otto anni dall’avvio del programma Fremm: il totale va oltre i 105 milioni di euro. Se questa cifra viene aggiunta al valore totale del programma Fremm, il costo per due navi lievita fino a 1 miliardo 219 milioni e 466mila euro: circa 230 milioni in più del costo sostenuto dall’Egitto.
L’Osservatorio ha più volte chiesto al Mise di fornire i dati relativi anche agli interessi sugli anni precedenti, ma dal dicastero non è arrivata alcuna risposta. Secondo una stima fatta da Mil€x che ha analizzato le tabelle di riferimento della Corte dei Conti, gli interessi totali dal 2006 a oggi sono ben maggiori: circa 318 milioni di euro. Così, il costo per due navi lieviterebbe a 1 miliardo 262 milioni e 66mila euro, ossia oltre 272 milioni in più del prezzo applicato al regime di al-Sisi.
A questa cifra devono essere aggiunti i costi per smantellare i sistemi Nato inizialmente installati sulle due navi, in quanto destinate alla Marina Italiana, e sostituirli con quelli richiesti dal generale al-Sisi. Secondo un articolo pubblicato su L’Espresso, questa spesa ammonta a 140 milioni di euro, anche se non è mai stato chiarito se dovrà essere sostenuta dalle imprese che si occupano della vendita o dallo Stato italiano. Interpellate da Ilfattoquotidiano.it, sia Leonardo che Fincantieri hanno preferito non fornire informazioni relative alle modifiche da apportare sulle due navi, senza smentire la cifra diffusa dal settimanale. Se confermata, quest’ulteriore spesa porterebbe il costo totale per le due navi a 1 miliardo 402 milioni e 66mila euro, oltre 412 milioni in più rispetto al prezzo applicato all’Egitto.
Ma c’è un altro costo sostenuto dallo Stato italiano e che può far crescere ulteriormente la differenza sulla vendita, quello per la gestione e manutenzione dei due mezzi. Sempre analizzando il Dpp, si può vedere che al 2020 i costi di gestione vengono quantificati in 720 milioni di euro. Aggiungendo questa cifra al totale, il costo delle due navi lieviterebbe così a 1 miliardo 546 milioni e 66mila euro, con la differenza che salirebbe così a oltre 556 milioni. C’è da ricordare, però, che stiamo parlando delle ultime due navi prodotte da Fincantieri per la Marina Italiana che, quindi, potrebbero non aver necessitato di eccessiva manutenzione.
Ilfattoquotidiano.it ha chiesto al ministero degli Esteri, che attraverso Uama ha fornito l’autorizzazione all’export, di commentare i nuovi dati in nostro possesso, ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta ufficiale. Dall’entourage di Di Maio, però, fanno sapere che il ministro “non ha competenza sulle cifre dei contratti che sono, in questo caso, di competenza esclusiva di Fincantieri. Inoltre, il processo politico venne gestito da Palazzo Chigi e approvato in sede di Consiglio dei ministri”. Si tratta, comunque, di una “operazione economica” tutt’altro che vantaggiosa per le casse pubbliche italiane, come invece avevano a suo tempo sostenuto membri del governo e della maggioranza, in un Paese dove l’industria della Difesa non ha conosciuto stop nemmeno durante la pandemia, come racconterà l’inchiesta di PresaDiretta di stasera.