Autore di Mil€x, il primo Osservatorio sulle spese militari italiane
La “dittatura delle armi” in Italia. Globalist ne parla con Francesco Vignarca, autore di Mil€x, il primo Osservatorio sulle spese militari italiane, ed esponente di primo piano della Rete Italiano Pace e Disarmo.
La “dittatura delle armi”. E’ il titolo della puntata di ieri di Presa Diretta, la trasmissione d’inchiesta di Riccardo Iacona. Come si connota questa “dittatura”?
Le decisioni sugli armamenti negli ultimi dieci anni sono state prese in maniera quasi automatica. Io cito sempre il fatto che alcuni dei sistemi d’arma più costosi che abbiamo poi acquisito, sono stati decisi e votati dal parlamento in poche ore, sempre facendo pochissime rimostranze alla proposta che arrivava dalla Difesa, dagli stati maggiori, ed esercitando raramente un controllo. Solo in alcuni casi c’è stata la volontà di fare delle indagini conoscitive, di esercitare controlli, di cambiare un po’ le regole, ma poi da un lato i parlamentari che si sono spesi per questa cosa sono stati messi fuorigioco, e dall’altro prevale sempre l’inerzia del fatto che su questi temi non si può andare contro la Difesa, non si può cercare di avere una trasparenza e una indipendenza da questo punto di vista, e poi pesa e non poco il fatto che se ci si mette contro questi interessi e queste decisioni si fa poca carriera.
Cambiando sostantivo, si può parlare di una lobby trasversale delle armi?
C’è un pezzo di quello che Eisenhower chiamava il “complesso militare industriale” che porta avanti imperterrito il proprio percorso. In alcuni casi perché ci credono, credono veramente che la capacità dell’Italia di portare avanti i propri interessi dipenda dal dispiegamento militare o delle spese militari; in altri casi, perché capiscono che tutto questo favorisce un pezzo d’industria che lucra su queste cose, non certo a vantaggio del sistema Paese ma a vantaggio solo dei propri interessi. In questo senso sì, c’è una lobby, c’è un pezzo di strutture che va in quella direzione. Io, però, sul terreno parlamentare registro più che altro una mancanza di coraggio. Alla Commissione Difesa storicamente sono sempre andati coloro che non avevano altro dove andare e rimanevano con il bastoncino corto in mano, e quindi erano più facilmente malleabili, non dico manipolabili ma era difficile per loro mettersi contro. Devo dire che nella scorsa legislatura, soprattutto alla Camera dei deputati, la Commissione Difesa ha iniziato a lavorare diversamente, a manifestare un cambio di passo. Ed è una cosa che succede dappertutto. Negli Stati Uniti, il controllo sulle spese militari è forsennato, e non si tratta certo di un Paese pacifista, ma perché vogliono sapere cosa succede. Invece da noi sembra quasi che se tu vuoi andare a controllare, allora sei disfattista, sei contro lo Stato…Invece no. Purtroppo c’è una mancanza di coraggio, tranne per alcuni esponenti che alla fine, proprio per il loro impegno, sono stati messi da parte. La trasmissione di ieri ha fatto vedere il caso di Gian Piero Scanu, ma pensiamo, per restare alla scorsa legislatura, di Giorgio Zanin, sempre del Pd, o a Giulio Marcon: tutti quelli che hanno cercato di muoversi in una certa direzione, chissà come mai non sono più in Parlamento. Perché se hai il coraggio di esporti, di rivendicare e praticare controlli e trasparenza, rimani da solo. E’ questo un po’ il problema. Per cui uno dei nostri tentativi, anche come Rete Italiana Pace e Disarmo è quello di fare una pressione popolare affinché poi chi sta in Parlamento possa sentirsi non più da solo nel cercare di osteggiare questi mega interessi. Ogni tanto funziona.
Qualche esempio?
E’ il caso della revoca degli export di armamenti. Alcuni parlamentari, soprattutto donne, hanno preso in mano la situazione. Parlando delle spese militari, è il caso dei droni che si volevano comperare. Una spesa scandalosa di 800 milioni di euro, fatta per favorire Piaggio Aerospace e certi giri. Il combinato disposto dell’iniziativa dal basso del movimento pacifista e disarmista e l’impegno di parlamentari che hanno avuto il coraggio di esporsi, ha fatto sì che questa operazione sia saltata. Però sono casi rari. Quello che servirebbe è un controllo continuo di trasparenza. Questo non lo dovrebbe volere solo il pacifista disarmista ma qualunque cittadino voglia avere un controllo sugli ingenti fondi che vengono destinati a questo comparto, per sapere come vanno spesi. La gente si indigna per le auto blu, che magari costano 50mila euro, e non s’indigna per le navi blu, o gli aerei blu, o i carri armati blu, che costano molto ma molto di più.
Una vergogna nella vergogna di questa “dittatura” delle armi, riguarda gli affari che in questo settore l’Italia continua ad avere con Paesi retti da regimi autoritari, liberticidi, sanguinari: la Turchia di Erdogan, l’Egitto di al-Sisi, l’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman, solo per citarne alcuni. Come si spiega questa lucrosa vergogna?
Per due motivi: da un lato, ci sono interessi di alcuni che vengono fatti passare come interessi di tutti e invece non lo sono, perché l’investimento nel settore delle armi produce vantaggi solo per chi ha in mano quelle leve, ma è chiaro, e tutti i dati econometrici lo stanno a dimostrare, che investire in altri comparti, energia pulita, la sanità, l’istruzione, non solo è più sensato ma ci porta maggiori ritorni economici. Dall’altro lato, perché si gioca alla geopolitica, un giochino fatto di luoghi comuni, del tipo “se vogliamo influenzare certi Paesi dobbiamo portarci le armi”. E’ vero il contrario. Ormai siamo in mano ai Paesi che comperano le nostre armi. Lo si è visto nel caso libico, con Turchia ed Egitto che hanno fatto quel che hanno voluto e noi che gli abbiamo fornito le armi più degli altri non abbiamo certo aumentato la nostra incidenza in quel Paese e nell’area del Mediterraneo. Lo si è visto nel caso dello Yemen, che oggi entra nei sei anni dall’inizio di una guerra devastante, della quale portano una pesante responsabilità quei Paesi, tra cui l’Italia, che hanno venduto armi alle parti in conflitto, in particolare alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita.
Bisogna tornare a ragionare sensatamente. Insisto su questo: non è solo un punto di partenza del pacifista, del disarmista, ma di riflessione, di logica. Per anni ci è stato detto che con la vendita delle armi avremmo potuto recuperare influenza e migliorare le cose. Questo mantra si è rivelato empiricamente errato. Forse proprio perché è sbagliato il concetto di fondo, il modello che si sostiene. Se vuoi la pace, prepara la pace. E quindi ragiona diversamente. Se vuoi i diritti, i diritti li devi rispettare sempre, non li puoi sospendere quando vuoi, quando ti fa comodo. Perché poi c’è qualcuno che potrà sospenderli anche per noi.