Serve davvero il 2% del Pil per le spese militari? Solo l’Europa investe in armamenti già quattro volte quello che spende la Russia. Prima della Difesa europea va costruita la Politica estera comune
Articolo di Luca Liverani su Avvenire
All’armi! L’invasione russa dell’Ucraina sta scatenando – in Italia e in Europa – una mobilitazione politica verso un massiccio aumento delle spese militari. Contro l’aggressione dello zar Putin sembra improcrastinabile un’immediata corsa al riarmo, destinando alla spesa militare il 2% del Prodotto interno lordo. Rafforzare il deterrente bellico occidentale, insomma, per domare l’orso russo imperialista. È davvero insufficiente l’attuale spesa militare? O la crisi ucraina rischia di essere un provvidenziale alibi per rilanciare – ammesso che ce ne sia mai stato bisogno – il comparto dell’industria bellica?
La corsa al riarmo raccoglie consensi nell’Ue. La Germania ha annunciato il raddoppio della spesa: da 52,8 miliardi di dollari (Sipri, dati 2020) a 100. Lo stesso farà Parigi, che spende poco meno di Berlino. Anche in Italia il 16 marzo la Camera ha approvato un ordine del giorno, collegato al Decreto Ucraina e proposto dalla Lega, con i voti di quasi tutta la maggioranza più Fdi (391 sì e 19 no), che impegna il Governo ad un incremento delle spese per la Difesa verso il 2% del Pil. Contrari solo i gruppi di Sinistra italiana e di Alternativa, i fuoriusciti dal M5s.
Quanto peserebbe sui conti pubblici? Per Milex, l’Osservatorio sulle spese militari italiane, si passerebbe dagli attuali 25,8 miliardi di euro l’anno ad almeno 38, cioè 12 in più. Per avere un paragone, si può citare la Sanità: nel 2019, nell’era ante-Covid, la spesa sanitaria era di 115 miliardi, quest’anno è passata a 123, circa il 7% in più. Quello auspicato per la Difesa sarebbe del 47%. L’indicazione di un obiettivo di spesa Nato – il 2% del Pil appunto – compare in un accordo informale del 2006 sottoscritto dai ministri della Difesa, rilanciato nel 2014 al vertice dei Capi di Stato in Galles, con un traguardo al 2024. Indicazioni comunque mai ratificate dal Parlamento italiano e dunque non vincolanti.
L’indicazione del 2% ricorda inevitabilmente un altro obiettivo, quello dello 0,7% del Pil da destinarsi all’aiuto pubblico allo sviluppo per la cooperazione internazionale. Un traguardo concordato nel 1970 in una risoluzione Onu, rimasto lettera morta, o quasi, per molti Paesi. L’Italia, a più di mezzo secolo da quell’ammirevole impegno, è allo 0,22.
Confronti a parte, vale la pena di vedere quanto spende effettivamente la Nato, e in particolare l’Europa, rispetto alla Russia. È ancora il Sipri, l’autorevole istituto di studi sulla pace di Stoccolma, che per il 2020 (ultimi dati disponibili) ha quantificato la spesa militare mondiale in 1.981 miliardi di dollari. Aprono la classifica gli Stati Uniti (778), seguono la Cina (252), India (72,9), Russia (61,7). Regno Unito, Germania e Francia oscillano tra i 59,2 e i 52,7. Undicesima l’Italia (28,9 miliardi di dollari), comunque tra i primi cinque d’Europa. Quello che ci interessa è il confronto tra Nato, e in particolare Unione Europea, e Russia.
L’Alleanza atlantica nel 2020 ha speso 1.103 miliardi di dollari in Difesa. Anche sottraendo l’enorme spesa di Washington (778 mld), i 27 paesi dell’Ue in un anno hanno investito la ragguardevole cifra di 232,8 miliardi di dollari. Quasi quattro volte la Federazione Russa. Ma c’è un altro elemento da sottolineare. La corsa al riarmo in realtà è già partita da tempo. Le spese militari dei paesi europei sono aumentate del 24,5% a partire dal 2016. Milex ci informa che anche l’Italia è passata da 21,5 miliardi nel 2019 a 25,8 quest’anno. «Un aumento dovuto soprattutto ai fondi per nuovi armamenti, balzati da 4,7 a 8,2 miliardi di euro», spiega Francesco Vignarca dell’Osservatorio.
Dall’occupazione russa nel 2014 di Crimea e Donbass, la Nato in realtà aveva già aumentato considerevolmente il budget: «Dal 2015 a oggi la Nato – dice Vignarca – ha investito nelle forze armate nazionali 14 volte di più della Russia. E cioè, dal 2015 al 2020, ben 5.892 miliardi di dollari, contro i 414 russi». Anche limitandoci alla sola spesa dell’Unione europea (fino al 2019 Regno unito ante-Brexit compreso), al netto degli Usa siamo a un aumento di 1.510 miliardi contro 414. La Nato è dunque superiore per potenza militare a Russia e Cina messi assieme. Se per testate nucleari, missili, soldati e carrarmati i due blocchi sono alla pari, la Nato ha una forza navale superiore, ha tre volte aerei da combattimento e droni e quattro volte gli elicotteri di russi e cinesi. Non va dimenticato che, comunque vada a finire in Ucraina, l’esercito russo ne esce con pesanti danni. Senza contare i mezzi distrutti, su un tabloid online di Mosca è uscito un dato impressionante del ministero della Difesa russa (subito cancellato): sarebbero già 9.861 i soldati morti finora.
La corsa al riarmo dunque è partita da tempo anche in Italia. A dicembre il ministro della Difesa Lorenzo Guerini aveva inviato alle Camere gli ultimi 5 di 23 decreti nel 2021 per autorizzazioni di spesa pluriennali pari a 12 miliardi: droni kamikaze, caccia, proiettili di precisione per cannoni, batterie antiaeree, sommergibili. Un ordine del giorno non è un atto vincolante, ma politicamente pesa. Il premier Mario Draghi a settembre 2021, dopo la ritirata americana dall’Afghanistan lo aveva già detto: «Ci dobbiamo dotare di una difesa più significativa: è chiarissimo che bisognerà spendere molto di più». Di fronte all’accelerazione chiesta dal Parlamento ora però frena: «La determinazione a portare al 2% le spese militari c’è – ha detto presentando il decreto Energia – quando e come farlo è tutto da discutere, ma anche su questo fronte la risposta non può che essere europea, perché gli investimenti sono impensabili se dovessero gravare solo sui bilanci nazionali». Draghi sa che 12 miliardi non saltano fuori dalle pieghe del bilancio. E ha concluso: «C’è un problema di coordinamento di tutta la filiera della difesa».
Finora infatti la filosofia seguita dai paesi membri è quella dell’’ognun per sé’, con frequenti duplicazioni di progetti e costi. Lo spiega bene Raul Caruso, ordinario di Politica economica alla Cattolica di Milano, dove tiene il corso di Economia della pace: «Esemplare è il caso degli aerei da combattimento di ultima generazione. Francia, Germania e Spagna a giugno 2019 hanno firmato un accordo per un nuovo jet; Italia, Regno Unito e Paesi Bassi sono coinvolti nella costruzione dell’F-35 americano Lockheed Martin. La Svezia sviluppa ancora il Gripen, utilizzato anche da Repubblica Ceca, Ungheria e Croazia. Ma nel 2019 Italia e Regno Unito hanno firmato per lo sviluppo del Tempest, caccia di sesta generazione, cui poi si è aggiunta la Svezia». Una vera Difesa europea potrebbe paradossalmente costare meno, non di più.
E allora forse ha ragione chi dice che, ben prima di una Difesa europea, è indispensabile costruire una Politica estera europea, cedendo quote di sovranità come per l’economia e la finanza. E a dirlo non è un diplomatico: «Lo strumento militare europeo – ha dichiarato il generale Vincenzo Camporini del comitato direttivo dell’Istituto affari internazionali – ha senso solo se è al servizio di una politica estera comune, anche cominciando da un piccolo gruppo di Paesi. Ci vuole una politica estera che si muova su interessi comuni con la diplomazia, la politica, l’economia. E infine, dico infine, uno strumento militare comune». La corsa al 2% del Pil in armi, insomma, rischia di essere affrettata e soprattutto sbilanciata a scapito degli investimenti per salute, educazione, sviluppo sostenibile, cooperazione, tutte scelte che prevengono squilibri e conflitti. Una fretta che rischia di nascondere interessi settoriali meno nobili.
Fanno riflettere allora le parole – dirette, puntuali, esplicite – che Papa Francesco ha pronunciato pochi giorni fa: «Quanto si spende per le armi, terribile! Non so quale percentuale del Pil, non mi viene la cifra esatta. Ma un’alta percentuale. E si spende per fare le guerre, non solo questa, gravissima, che sentiamo di più perché è più vicina, ma in Africa, Medioriente, Asia. A che serve impegnarci tutti insieme, solennemente, a livello internazionale contro la povertà, la fame, il degrado del pianeta, se poi ricadiamo nel vecchio vizio della guerra, nella vecchia strategia della potenza degli armamenti che riporta tutto e tutti indietro?».