Gli sforzi dell’Europa per arrivare alla pace nella guerra in Ucraina sono sintetizzati da una proposta della Commissione europea di permettere agli Stati membri di utilizzare il Fondo di coesione e il Pnrr per sostenere le imprese della difesa nella produzione di munizioni e missili destinati all’Ucraina.
Una proposta a cui quattro importanti realtà italiane, Libertà e Giustizia, Rete Italiana Pace e Disarmo, Anpi e Arci, reagiscono con un appello indirizzato ai Parlamenti europeo e italiano e al Consiglio dell’Unione.
Militarizzazione europea coi fondi di coesione e Pnrr, il “no” delle associazioni
Il “no” delle associazioni è innanzitutto il rifiuto «di trasformare la tragedia della guerra in Europa in occasione di profitto per le multinazionali delle armi», ma anche «di rimettere in discussione il senso originario del Recovery fund, concepito specificamente per tre principali azioni: la transizione verde, la transizione digitale e la resilienza dopo la pandemia».
In particolare l’Asap (Act to Support Ammunition Production), nelle parole del commissario europeo Thierry Breton, è un piano «mirato a sostenere direttamente, con i fondi Ue, lo sviluppo dell’industria della difesa, per l’Ucraina e per la nostra sicurezza», da velocizzare al punto da chiedere deroghe perché le fabbriche di armi e munizioni possano funzionare giorno e notte, sette giorni su sette, entrando in «modalità economia di guerra».
Sono tre i binari della proposta della Commissione. Da un lato, il risarcimento economico per quei Paesi che hanno inviato armi e munizioni a Kiev, dall’altro la destinazione di risorse per riempire i magazzini svuotati. «Qui già c’è un problema di logica – afferma ai nostri microfoni Francesco Vignarca, portavoce della Rete Italiana Pace e Disarmo – perché negli ultimi anni l’Europa ha speso miliardi e miliardi per gli armamenti. È strano che l’invio di alcune parti di munizionamento per un conflitto come quello in Ucraina, che vede il sostegno di tantissimi Stati, già voglia dire che i magazzini sono vuoti».
È però il terzo binario della proposta quello più grave e inaccettabile. «Si danno dei fondi per costruire nuovi impianti di produzione bellica con la sospensione delle normative riguardanti il lavoro e l’ambiente – sottolinea Vignarca – Non solo si daranno soldi per produrre munizioni, ma lo si potrà fare in luoghi in luoghi ambientalmente problematici e derogando a tutti i diritti dei lavoratori».
Oltre a ciò l’industria bellica vuole la garanzia che le armi prodotte verranno comprate e utilizzate. «Ciò significa che si sta scommettendo sulla guerra, sul fatto che durerà tanto», mette in guardia il pacifista.
L’Italia nel frattempo aumenta l’impegno con la Nato
Oltre al progetto Asap, che potrebbe riguardare anche l’Italia, in questi giorni il nostro Paese è impegnato nel voto parlamentare sul finanziamento delle missioni militari all’estero. Un voto che arriva tardissimo, a quasi sei mesi da ciò che dice la legge, con il paradosso che si potrebbe creare che vengono approvate missioni già concluse.
Ma ciò che si evince dall’analisi dei documenti è un maggiore impegno, sia in termini economici che di mezzi e uomini, dell’Italia con la Nato, in particolare sul fronte orientale europeo.
È l’Osservatorio Milex a sottolineare il dato. Nello specifico cresce l’impegno economico, 314 milioni rispetto ai 216 milioni del 2022, di pari passo con l’incremento dell’impegno operativo, con 3.400 uomini contro i 2.200 dell’anno scorso, 620 mezzi terrestri (100 in più del 2022) e una trentina di aerei (il doppio dell’anno scorso).
«Il conflitto in Ucraina ha costretto il nostro Ministero della Difesa a dispiegare più uomini e mezzi in quel contesto e ovviamente questo vuol dire un coinvolgimento maggiore, ma può voler dire un pericolo di escaltation maggiore», conclude Vignarca.
ASCOLTA L’INTERVISTA A FRANCESCO VIGNARCA: