Più di trentamila velivoli senza equipaggio sparsi per il mondo e pronti a colpire. I numeri del macrocosmo dei droni militari sono impetuosi. E cresceranno ancora.
di Biagio Simonetta per Il Sole 24 Ore
Più di trentamila velivoli senza equipaggio sparsi per il mondo e pronti a colpire. I numeri del macrocosmo dei droni militari sono impetuosi. E cresceranno ancora. A riportarli è il rapporto del Center for the Study of the Drone, un istituto di ricerca del Bard College di New York. Lo studio ha riscontrato non solo una crescita esponenziale di droni militari, ma anche un’espansione di basi, siti di test e accademie di addestramento per supportare il funzionamento di questi aerei senza pilota.
Oggi i droni sono al centro delle nuove strategie globali. Nel settembre 2019, l’attacco ai pozzi petroliferi sauditi (che ha fatto schizzare il prezzo del greggio americano a oltre 60 dollari al barile e ha riacceso le tensioni in Medio Oriente) è stato realizzato proprio con l’impiego di alcuni droni. Per questo attacco, l’indiziato numero uno è l’Iran. Ma la diffusione dei droni, oggi, è veramente enorme.
Ciò che li rende letali ed efficaci in contesti di guerra sono i progressi nelle tecniche di ripresa, le operazioni di precisione con GPS ottimizzato, la velocità sempre più elevata. Gli ultimi modelli, inoltre, fanno registrare autonomie mai raggiunte prima. In Russia, il drone Altius-U, promette performance importanti: 10mila km di autonomia e quota di volo fino a 25mila metri.
Una diffusione globale
I Paesi che si sono dotati di questi velivoli sono 95. Erano circa la metà nel 2010. E come spiega al Wall Street Journal, Dan Gettinger, autore del rapporto newyorkese, «molti di questi, non sono Paesi tecnologicamente avanzati». Oggi i droni sono ampiamente utilizzati dai ribelli Houthi, nello Yemen, come dai cartelli della droga in America Latina. In diversi Paesi dell’Asia orientale, le forze di sicurezza pilotano droni per monitorare i confini nazionali.
L’Azerbaigian e la Nigeria, hanno condotto attacchi con veicoli aerei senza pilota negli ultimi mesi. E nei cieli sopra Raqqa, recentemente hanno voltato solo droni appartenenti a una decina di Paesi differenti. Tutti esempi che raccontano la centralità di questi nuovi mezzi negli scenari internazionali più caldi e difficili.
La leadership americana e l’insidia cinese
Solo pochi anni fa, gli Stati Uniti avevano in mano una specie di monopolio relativamente ai grandi droni militari. I più famosi sono i modelli denominati Predator. Sono quelli impiegati dalla Cia e dal Pentagono per uccidere i sospetti terroristi in Asia meridionale, Yemen e Somalia. Con gli anni, la leadership americana si è affievolita. La crescita esponenziale dei droni ha portato alla ribalta nuovi Paesi come Cina e Israele. Per quanto concerne la Cina, è soprattutto il mercato dei piccoli droni a essere cresciuto a dismisura. Il rapporto del Center for the Study of the Drone stima almeno 21mila droni militari in tutto il mondo, ma spiega che il numero più probabile potrebbe superare le 30mila unità. E cataloga oltre 200 modelli. Inoltre, riferisce che ad oggi quindici paesi hanno accademie di formazione per operatori di droni, e sette mantengono basi di droni al di fuori dei propri confini.
I numeri italiani
Anche l’Italia ha i suoi droni militari, e l’investimento complessivo è stato pari a circa 700 milioni di euro. I numeri arrivano dall’ultimo rapporto disponibile, firmato circa un anno fa dall’Osservatorio sulle spese militari Mil€x. Circa due terzi dell’intera somma investita, pare sia stata usata per acquistare i modelli statunitensi Predator, Reaper e Global Hawk.