Le nuove stime (oltre 950 milioni previsti) derivano dagli ultimi annunci in sede europea relativi all’aumento dei fondi dell’European Peace Facility destinati al Governo di Zelensky, oltre che dalle valutazioni relative ai primi sei invii di armamenti italiani.
Le dichiarazioni in Parlamento della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, secondo cui l’invio di armi all’Ucraina non costituirebbe un costo per le casse statali e quindi una sottrazione di risorse al bilancio dello Stato, hanno riacceso l’attenzione sugli aiuti militari anche del nostro Paese al governo di Zelens’kyj. L’affermazione appare essere poco fondata, proprio per la natura del meccanismo di sostegno militare implementato già poche settimane dopo l’invasione russa, ed è già stata smentita in passato da analisi nostre e condotte da altri. La questione assume però rilevanza non solo dal lato “politico”, ma anche da quello delle valutazioni delle cifre coinvolte soprattutto in virtà delle recenti notizie provenienti dal livello europeo, che impongono una rivalutazione del costo complessivo anche per l’Italia di tale scelta di aiuto militare.
Il nostro Osservatorio Mil€x si è già occupato in passato di elaborare una stima a riguardo, sempre sottolineando che la secretazione dei dettagli sugli invii armamenti operati mediante successivi decreti interministeriali non consente una valutazione precisa e completamente certa. Rimandando ai precedenti articoli per i dettagli procedurali, si evidenzia dunque come questa stima potrebbe essere suscettibile di aggiornamento e miglioramento (che verrà prontamente realizzato) qualora dovessero essere forniti dal Governo dati più accurati, con tutti i dettagli rilevanti.
La base giuridica dell’invio di armi all’Ucraina è costituita da Decreti-legge (poi convertiti in Legge a seguito di voto parlamentare) predisposti sia dal Governo Draghi che dal Governo Meloni, basati sul medesimo schema. Tramite i già ricordati Decreti interministeriali vengono individuati materiali di armamento in surplus, non più utilizzati dalle Forze Armate italiane, che vengono quindi spediti verso l’area del conflitto ucraino. Ovviamente non vi è alcun costo di nuovo acquisto per tali materiali, ma a parte i costi logistici di spedizione è altrettanto ovvio che alcuni fondi dovranno essere individuati per il ripristino delle scorte. Pur non essendoci un meccanismo automatico in tal senso, anche perché è molto probabile che soprattutto i primi inviti abbiano coinvolto materiali d’armamento datati, diverse sono state le conferme di esponenti politici e della Difesa in relazione ad una tale necessità (da declinarsi ovviamente in base alle nuove funzioni e necessità operative aggiornate). In particolare è stato proprio il ministro della Difesa Guido Crosetto a dichiarare esplicitamente lo scorso 25 gennaio 2023, durante un’audizione parlamentare, che l’Italia dovrà comprare di nuovo le armi che ha spedito gratuitamente all’Ucraina: «L’aiuto che abbiamo dato in questi mesi all’Ucraina è un aiuto che in qualche modo ci impone di ripristinare le scorte che servono per la difesa nazionale».
Una valutazione del costo completo degli aiuti militari deve dunque partire da un’analisi di quanto inviato, elemento non facile da ricavare proprio per la secretazione di tutti i dettagli a riguardo. Secondo alcune dichiarazioni del ministro degli Esteri Tajani rese ad inizio 2023 l’Italia aveva già inviato fino a quel momento circa 1 miliardo di euro di controvalore di armamenti, mentre il Kiel Institute con il suo progetto di monitoraggio complessivo dei sostegni internazionali all’Ucraina riferisce una cifra di 350 milioni di euro. Come dato di partenza di base abbiamo perciò scelto di attestarci su una cifra di 500 milioni che ci pare più realistica nel valutare il controvalore, pur se non è possibile sapere se si tratta di prezzi di costo per nuovo riacquisto o valutazioni di magazzino. Tale elemento di partenza è fondamentale perché, come abbiamo già spiegato, è su tale cifra che si basano le richieste di rimborso avanzate dai Paesi Membri all’Unione Europea, che da mesi ha deciso di aiutare lo sforzo di aiuto militare ingrandendo sempre di più i fondi della European Peace Facility dedicati allo scopo. Quest’ultimo è uno strumento finanziario ‘fuori bilancio’ (quindi di competenza del Consiglio UE e non della Commissione) a supporto delle iniziative militari internazionali europee: venne istituito il 22 marzo 2021 con una prospettiva settennale (che nessuno pensava di dover utilizzare così copiosamente per l’Ucraina) e una dotazione previsionale di 5.692 milioni di euro, aumentata a 7.979 milioni a metà marzo 2023 proprio per poter inglobare le decisioni sempre più onerose relative al conflitto ucraino. In pratica l’EPF è finanziato dai contributi annuali degli Stati membri dell’UE stabiliti in base a calcoli basati sul Reddito nazionale lordo per i quali la quota di contribuzione annuale dell’Italia risulta essere di circa il 12,8% del totale.
Con le decisioni prese a febbraio 2023 i fondi EPF destinati all’aiuto militare all’Ucraina hanno raggiunto la cifra complessiva di 3,6 miliardi di euro. Il rimborso verso gli Stati Membri non potrà però coprire integralmente le richiese proprio per l’enorme invio di sistemi d’arma effettuato nell’ultimo anno: attualmente si prevede una restituzione attorno al 50% del valore spedito (ma tale quota potrebbe scendere ulteriormente in quanto secondo diversi retroscena molti Stati starebbero gonfiando le cifre relative alle proprie spedizioni). A prima vista il sistema di rimborso tramite EPF potrebbe apparire utile a diminuire il costo legato al ripristino delle scorte, ma se si considera che tale Fondo europeo è come detto alimentato dalle quote degli Stati membri il risultato reale va in tutt’altra direzione, soprattutto per un Paese come l’Italia. Proprio in virtù del continuo rialzo del tetto finanziario dell’EPF, ben oltre la dotazione iniziale, lo stesso Consiglio Europeo ha potuto decidere a marzo 2023 un nuovo programma di sostegno all’invio di munizionamento verso l’Ucraina, con due fasi da 1 miliardo di euro ciascuna.
Per tutti questi fondi l’Italia ha un obbligo di contribuzione già evidenziato pari circa al 12,8%, da cui deriva la parte principale del costo che il nostro Paese deve sostenere relativamente alle decisioni di invio armamenti al governo ucraino. In pratica è soprattutto questa “quota collettiva” a gravare sulle casse statali e a smentire con evidenza le dichiarazioni dell’onorevole Meloni: il costo non è direttamente legato al ripristino delle scorte ma esiste ed è rilevante. Applicando infatti i meccanismi di calcolo derivanti dalla pluralità di scelte messe in campo otteniamo per l’Italia ad oggi un costo già sicuro di 838 milioni di euro e un costo in prospettiva di oltre 950 milioni di euro (la differenza deriva dal fatto che al momento l’Italia non ha ancora formalizzato la propria partecipazione alla seconda tranche dei programmi di nuovo munizionamento, pur se è probabile che lo farà così come è abbastanza probabile che debba comunque pagare la propria quota).
I dettagli del conteggio sono i seguenti: