IL CIMITERO DEI CARRI ARMATI
Conseguenza del meccanismo di incentivi pubblici strutturali alle industrie del comparto difesa è un procurement distorto da logiche industrial-commerciali che poco hanno a che vedere con le reali esigenze strategico-operative dello strumento militare. Lo Stato si pone al servizio dell’industria, prima assumendosi il rischio d’impresa tramite il finanziamento di tutta la fase di progettazione, sviluppo e realizzazione di prototipi pre-serie, poi garantendo tramite grosse commesse il finanziamento della fase di industrializzazione e produzione su vasta scala, infine agendo come procuratore di commesse estere nello spirito della legge 808/85 che poneva tra gli obiettivi “il miglioramento della bilancia commerciale”. Per la Difesa è il “sistema paese” all’opera. Per il presidente Eisenhower sarebbe stato il classico esempio di come funziona il “complesso politico-militar-industriale”.
Se la Difesa ordina una quantità di mezzi e sistemi d’arma che risponde a necessità industriali e commerciali private, non a necessità politico-strategiche pubbliche, il risultato sono programmi di acquisizione sovradimensionati (e costosi) non solo rispetto alle reali necessità di difesa nazionale ma anche alle capacità economiche di gestione e manutenzione di questi mezzi. Quantità eccessive di mezzi che quindi risultano sottoutilizzati (92) se non del tutto inutilizzati e che quindi finiscono inevitabilmente ad arrugginire nei depositi o cannibalizzati per i pezzi di ricambio.
Emblematico di questo spreco di risorse è il “Parco Mezzi Cingolati e Corazzati” dell’Esercito a Lenta, tra i boschi e le risaie del vercellese (immagine 1): qui giacciono migliaia di carri armati e blindati: non solo ferri vecchi degli anni ’70 e ’80, ma anche mezzi moderni ancora funzionanti che aspettano solo di essere rottamati e venduti a peso come ferraglia, oppure ceduti alle forze armate di Paesi stranieri a titolo gratuito o addirittura a spese della Difesa (che deve pagare i lavori di ripristino).
Il “cimitero dei carri armati” di Lenta, lungi dal costituire un monito contro l’avvio di programmi di acquisizione sovradimensionati (che in passato potevano almeno essere parzialmente giustificati dalla vecchia logica della Guerra Fredda (93)), continuerà inevitabilmente ad accogliere carri e blindati che la Difesa continua ad acquistare in grandi quantità e a prezzi elevatissimi per sostenere la produzione e l’export dell’industria militare italiana.
Questa logica la troviamo esposta, nero su bianco, nel documento (94) con cui la Difesa, lo scorso ottobre, ha chiesto e ottenuto (95) il parere positivo del Parlamento sull’acquisto (sempre a carico del MISE) dei nuovi carri armati ruotati “Centauro 2” (immagine 2) prodotti dal consorzio Iveco-Oto Melara (Fiat-Leonardo), sottolinenando la necessità di ordinarne una quantità “estensiva” non perché servano all’Esercito Italiano, ma per promuoverne la vendita all’estero:
«La produzione estensiva di sistemi per il cliente nazionale è il prerequisito di referenza indispensabile ad ogni opportunità di vendita all’estero».
Lo stesso concetto si ritrova espresso nel documento (96) della Difesa, sottoposto a parere parlamentare insieme al precedente, relativo al programma di acquisto (di nuovo a spese del MISE) dei prototipi del nuovo elicottero da attacco dell’Esercito successore del Mangusta (immagine 3) prodotto da Leonardo Elicotteri (ex AgustaWestland, Finmeccanica) — la cui esigenza risulta poco comprensibile considerando che i Mangusta sono stati appena aggiornati alla versione ‘Delta’ compiendo, parola della Difesa (97), “un salto generazionale” in termini di prestazioni e armamento rispetto alla versione precedente:
«Lo sviluppo del nuovo velivolo collocherebbe l’industria nazionale in posizione di vantaggio sul mercato internazionale in una finestra temporale nell’ambito della quale potrebbero essere concretizzate ottime opportunità di collaborazione e/o vendita» come già avvenuto per l’elicottero Mangusta «sulla base della quale è stata sviluppata una versione per l’estero che è stata acquistata dalla Turchia (98)».
Dopo la fine della Guerra Fredda l’Italia ha comprato quasi duemila tra mezzi corazzati cingolati e ruotati da combattimento per un totale di circa 30 miliardi di euro (tabella 11): un’armata chiaramente sproporzionata rispetto alle esigenze operative. Alcuni esempi. Centoventi carri armati Leopard 1A5 (ammodernati nel 1995 dalla Oto Melara per 534 miliardi di lire (99)), sedici schierati in Kosovo nel 1999, dismessi nel 2007 e da allora arrugginiscono tra i rovi nel deposito di Lenta. Duecento carri armati Ariete della Oto Melara (comprati sempre nel 1995 per 1.692 miliardi di lire (100)), sei schierati in Iraq nel 2004 (101), solo una quarantina ancora operativi (102). Duecento carri Dardo della Oto Melara (comprati nel 1998 per 558 milioni di euro (103)), sei schierati in Iraq nel 2004 (104), 5 in Libano nel 2006 (105) e 20 in Afghanistan nel 2007 (106), solo la metà ancora operativi (107). Seicento blindati Puma del consorzio Iveco-Oto Melara (comprati nel 1999 per almeno 305 milioni di euro (108)), dodici schierati in Libano nel 2006 (109), inviati anche nel 2007 in Afghanistan ma subito ritirati perché troppo insicuri, quindi messi fuori servizio. Seicentotrenta carri da combattimento Freccia del consorzio Iveco-Oto Melara (comprati in due tranche, 2006 e 2015, per un totale di 4,15 miliardi di euro), diciassette mandati in Afghanistan nel 2010 (110).
E’ doverosa una parentesi sui carri VBM ruotati 8×8 Freccia: il loro costo medio per unità (circa 6,6 milioni di euro) risulta oltre il triplo di quello della blindo Centauro (2 milioni) di cui il Freccia è un’evoluzione, e molto più alto perfino rispetto al costo medio della ‘ammiraglia’ dei mezzi corazzati, vale a dire il carro Ariete (4,4 milioni). La scelta di privilegiare il prodotto dell’industria nazionale è stata fatta a discapito della possibilità di aderire, come hanno fatto tedeschi, olandesi e lituani, al programma europeo Boxer (111) avviato anch’esso nel 2006 (come il programma nazionale Freccia). Una scelta che avrebbe consentito all’Esercito italiano di avere un mezzo equivalente se non migliore del Freccia ad un costo molto inferiore (anche meno dei 4,3 milioni di euro attuali (112) considerando la maggiore produzione). Purtroppo l’interesse dell’industria nazionale ha prevalso sull’interesse economico generale, oltre che sulla falsa retorica di difesa europea.
In merito allo scarso utilizzo dei mezzi nelle missioni all’estero, va sottolineato come esso stesso non risponda a logiche strategico-operative, ma di puro marketing promozionale diretto ai potenziali clienti esteri compresenti in teatro, per mostrare loro che il mezzo è “combat proven”, come si dice in gergo, ha cioè superato il collaudo in battaglia diventando quindi maggiormente affidabile e commercialmente appetibile. Anche qui torna utile l’esempio dei Freccia. Dopo diversi soldati italiani caduti in Afganistan a causa della scarsa sicurezza dei gipponi blindati Lince, nel 2009 la Difesa decise di sostituirli con i nuovi Freccia ma ne vennero mandati, con molto ritardo, soltanto diciassette (113) non consentendo, di fatto, una migliore protezione generale per i soldati. In compenso la bella mostra di quei pochi esemplari nella base di Herat, all’epoca condivisa con il contingente spagnolo, venne sfruttata per promuovere la vendita dei Freccia all’Esercito spagnolo, peraltro con scarsi risultati.
Stando alle dichiarazioni rese nell’ottobre 2015 dal Capo di stato maggiore dell’Esercito, generale Danilo Errico, nel corso di una sua audizione in Parlamento (114), l’appetito di mezzi terrestri non sembra essersi ridimensionato. Oltre alla seconda tranche di 380 Freccia, approvata due anni fa, il programma di rinnovamento mezzi terrestri (ovviamente tutti prodotti dal consorzio Iveco-Oto Melara) comprende il già citato acquisto di 136 carri armati ruotati Centauro 2, di 72 giganteschi corazzati anfibi da sbarco SuperAV (115), l’ammodernamento di 150 carri Ariete e di 31 carri Leopard del genio, l’ammodernamento di 200 carri Dardo e, dulcis in fundo, l’acquisto di 2.765 gipponi blindati Lince 2 (116) (che si andranno ad aggiungere ai 1.629 Lince 1 e 1A già acquistati al costo di 590 milioni (117)).
A tutto questo si aggiunge il rinnovo della componente elicotteristica (a partire dai già citati Mangusta 2) e l’implementazione di tutte le restanti componenti del super-programma Forza NEC (acronimo che sta per Network Enabled Capabilities) per la digitalizzazione delle forze terrestri (118) (immagine 5), che riguarda tutti i programmi citati, nel senso che tutti i nuovi armamenti, mezzi e tecnologie (a partire dai sistemi di comando e controllo C4I (119)) ne fanno parte in quanto concepiti secondo una logica cosiddetta ‘netcentrica’, compreso l’equipaggiamento individuale dei soldati previsti dal progetto Soldato Futuro (120). Tale carattere di programma ‘ombrello’ di Forza NEC ne rende di difficile la valutazione in termini di costi complessivi (le stime più attendibili parlano di 22 miliardi di euro (121)): quel che è certo è che l’attuale fase di sviluppo che si dovrebbe concludere nel 2021 (comprendente anche l’avvio della fase di sviluppo e acquisizione dei Lince 2 e dei SuperAV) ha un costo di 940 milioni di euro, integralmente a carico del MISE (122).
AEREO A SOVRANITÁ LIMITATA
Il fenomeno della sproporzione rispetto alle esigenze e dell’indeterminatezza di costi e tempistiche nei programmi di acquisizione armamenti ha il suo caso emblematico nella vicenda dell’acquisto da parte dell’Italia dei cacciabombardieri di fabbricazioni americana Joint Strike Fighter F-35 prodotti da Lockheed Martin. Un programma deciso definitivamente nel 2009, dopo più di un decennio di partecipazione anche del nostro Paese a fasi di studio e sviluppo preliminare (123), con requisito iniziale di 131 aerei (al costo preventivato di 16 miliardi di euro), successivamente ridimensionato nel 2012 — per decisione interna dello Stato Maggiore — a 90 velivoli (con un costo ipotizzato di 13 miliardi).
Fin dall’inizio (124), e in un certo senso ancora oggi (125), una delle principali giustificazioni nell’intraprendere la partnership con gli Stati Uniti per il JSF è stata fondata sulla presunta necessità per la nostra Aviazione di rimpiazzare 253 aerei da attacco tra Tornado (100), Amx (136) e Harrier (18). Va però sottolineato come nel 2009, al momento del voto parlamentare di conferma, i velivoli da attacco in servizio da rimpiazzare fossero in realtà solo 153 (70 Tornado, 68 Amx e 15 Harrier (126)). Senza contare che l’Italia aveva già comunque deciso di comprare pochi anni prima 121 caccia multiruolo Eurofighter Typhoon (velivoli utilizzabili sia in ruoli da difesa che come bombardieri da attacco (127)) considerati inizialmente come rimpiazzo sia per gli F-104 che per i Tornado (tanto vero che ancora nel 2004 la Difesa ipotizzava l’acquisto di 109 F-35A per rimpiazzare gli Amx e di 22 F-35B per sostituire gli Harrier (128) senza far entrare in gioco i Tornado).
In un rapporto riservato (129) inviato al Parlamento nel 2014 da alti ufficiali dell’Aeronautica in congedo ed ex dipendenti di Alenia Aermacchi (società leader per l’ala fissa nell’allora gruppo Finmeccanica) la flotta aerea da attacco italiana viene giudicata più che sufficiente rispetto alle esigenze operative e strategiche del nostro Paese e il programma F-35 definito come assolutamente “sproporzionato”:
«L’F-35 è un progetto da superpotenza sproporzionato per le esigenze strategiche del nostro Paese. E’ significativo che né Francia né Germania partecipano al programma F-35, contrariamente al Regno Unito che però ha un bilancio della Difesa che è tre volte il nostro e inoltre ha un rapporto strategico unico con gli Stati Uniti. (…) Quel che abbiamo in termini di mezzi aerei e quello che è in via di immissione in servizio (gli Eurofighter Typhoon, ndr) basta e avanza».
Anche grazie a prese di posizione e motivazioni del genere (oltre che per una campagna di opinione basata sull’enorme investimento finanziario richiesto per l’acquisto dei caccia F-35) il progetto Joint Strike Fighter ha acquisito, in maniera inedita per un programma d’armamento, una grande notorietà presso l’opinione pubblica e una centralità nel dibattito politico e pubblico italiano. In ambito parlamentare ciò ha condotto la Camera dei Deputati a votare nel 2014 una mozione di maggioranza (130) che impegnava formalmente il governo a “dimezzare” il budget originario del programma F-35. Decisione del Parlamento sovrano che non ha sortito alcun effetto pratico perché il Governo si è limitato ad una semplice dilazione delle acquisizioni senza abbassare il requisito numerico di velivoli per la Difesa. Dall’analisi dei documenti di bilancio successivi a tale decisione si evidenzia al contrario un aumentato di budget da 13 a 14 miliardi complessivi.
La seguente tabella 12 esplicita dettagliatamente la composizione di tale costo previsionale a partire da elaborazioni possibili sulla base di documentazione ufficiale di bilancio (e quindi senza andare a considerare proiezioni basate sul costo unitario di produzione/acquisto, che varia con il tempo e con le diverse appartenenze a lotti successivi di produzione). I numeri che qui andiamo a considerare sono quindi effettivi stanziamenti (o pagamenti già avvenuti) nel bilancio statale italiano.
In merito a tali conteggi è doveroso notare come il dato riguardante gli oneri complessivi del programma JSF è rimasto pubblico e “ufficiale” fino al 2015, comparendo nelle specifiche tabelle sia del DPP pubblicato ogni primavera, sia dei bilanci previsionali del Ministero della Difesa messi a disposizione del Parlamento per la sessione di bilancio di fine anno (132). Forse per evitare un maggiore controllo (e le proteste conseguenti di parlamentari e società civile per il non rispetto delle mozioni parlamentari del 2014) tale stanziamento globale per l’acquisto degli F-35 dal 2016 non compare più in alcun documento governativo di pubblico accesso (sia il DPP 2016 dello scorso aprile, sia la Relazione sullo stato di attuazione dei programmi di ammodernamento e rinnovamento di mezzi, impianti e sistemi di luglio riportano infatti esclusivamente gli oneri complessivi sostenuti a quella data (133)). Una perdita grave di trasparenza, tanto più se riferita a uno dei programmi di armamento di maggiore impatto finanziario e oggetto di grande interesse da parte dell’opinione pubblica.
Al momento attuale, per quanto è possibile ricostruire, l’Italia ha già speso per il programma JSF F-35 oltre 3,6 miliardi di euro, di cui almeno 1,3 miliardi per l’acquisto dei primi otto esemplari (al costo medio di 150 milioni l’uno) e per gli acconti relativi ad ulteriori sette velivoli (due del 9° lotto, due del 10° lotto e tre dell’11° lotto) con sottoscrizione di contratti avvenute anche nel 2016 (a due anni dalle mozioni parlamentari).
Le stime riguardanti l’entità economica dei contratti d’acquisizione firmati dall’Italia non può al momento avere certezza assoluta poiché la Difesa continua a rifiutarsi di rendere pubblici tali documenti e i conteggi finanziari relativi (anche il Parlamento ne ha fatto più volte richiesta, ma inutilmente). Una strada indiretta di valutazione, utilizzata anche da noi, fa riferimento alle notizie relative al programma JSF pubblicate sul sito del Pentagono (134) in occasione della sottoscrizione di nuovi accordi (va infatti ricordato come sia direttamente il Dipartimento della Difesa USA a contrattare con Lockheed Martin e a firmare contratti con il capifila industriali, mentre i paesi partner affidano al Pentagono — in particolare all’ufficio JPO preposto — le loro scelte/quote). Purtroppo anche questa via alternativa ha subìto di recente un peggioramento della trasparenza, con le informazioni che sono divenute di difficile lettura poiché da tempo non riportano più i singoli Paesi acquirenti ma solo l’indicazione generale “international partners” o “international participants”.
L’Osservatorio MIL€X, sulla base delle informazioni già citate provenienti dal Dipartimento della Difesa USA, ha comunque elaborato un prospetto complessivo dei contratti italiani firmati finora (tabelle 13 e 13 bis), potendo distinguere tra contratti che citano esplicitamente l’Italia e contratti che, pur non facendolo, dovrebbero comunque riguardare le acquisizioni italiane poiché si riferiscono a lotti di acquisizione per i quali sappiamo con certezza di una compartecipazione italiana. A riguardo dei dati da noi elaborati e riportati in questo prospetto abbiamo chiesto, purtroppo senza ottenerlo, un riscontro al Segretariato generale della Difesa – Direzione nazionale degli armamenti (135) guidato dal generale Carlo Magrassi.
Dei sette velivoli F-35 appartenenti ai lotti di produzione 9°, 10° e 11° per cui l’Italia ha già firmato contratti e versato acconti, figurano anche tre velivoli in versione STOVL (Short Take Off Vertical Landing), ovvero il F-35 versione B da imbarcare su portaerei, di cui la Difesa vuole acquistare trenta esemplari: quindici destinati alla Marina per rimpiazzare gli Harrier sulla portaerei Cavour e altri quindici previsti per l’Aeronautica; di questi ultimi non era inizialmente chiara l’esigenza operativa, dato che l’arma aera non possiede naviglio adatto al trasporto e operatività di aerei, ma come vedremo dalle novità sul procurement della Marina illustrate nel prossimo capitolo, risulta ora chiaro che i quindici F-35B dell’Aeronautica dovrebbero costituire un gruppo di volo da imbarcare sulla futura portaerei Trieste.
Le critiche piovute addosso al programma Joint Strike Fighter in questi anni non si sono però limitate all’alto costo e alle opache dinamiche di tempistica. La grande rilevanza ottenuta anche in Italia da questo aereo militare risiede nelle innumerevoli problematiche di tipo tecnico che il programma ha incontrato, con numerosi incidenti e fallimenti e con le numerose necessità di aumentare i fondi per tentare di “porre rimedio” a capacità operative non adeguate agli standard previsti (oltre che veri e propri errori di progettazione). Una situazione paradossale, e duramente criticata negli Stati Uniti dalle strutture interne al Governo e alla stessa Difesa preposte al controllo dell’evoluzione dei programmi di armamenti, derivante principalmente da come si è scelto di impostare il progetto Joint Strike Fighter. Un’iniziativa basata sul concetto di concurrency (cioè di svolgimento parallelo di fasi di produzione iniziale anche senza aver terminato opportunamente quelle di progettazione e sviluppo) e con la quasi impossibile richiesta di avere un’unica piattaforma di velivolo da adattare ad esigenze operative e militari diverse (quelle dell’Air Force, quelle dei Marines, quelle della US Navy).
I sostenitori del progetto JSF ripetono continuamente che aerei multiruolo come l’F-35 permettono di risparmiare denaro e aggiungere flessibilità in missione, ma la storia dell’aviazione ha dimostrato molte volte che si tratta di una falsa assunzione. Anche se un velivolo ben progettato per un singolo ruolo operativo può spesso adattarsi con successo ad altri tipi di missioni, gli aerei multiriolo giungono a progettazione con troppi compromessi e pur costando ai contribuenti una fortuna in termini finanziari non assolvono quasi mai integralmente ai compiti previsti. Per l’F-35 si tratta di situazioni ormai caratterizzanti tutti gli ultimi anni di valutazioni operative e progettuali.
Nel solo 2016 il Report del Director of Operational Test and Evaluation del Pentagono ha mostrato che l’F-35 ha avuto problemi di carico utile, uno scarso range e scarsa capacità di sopravvivenza come bombardiere, necessitando di velivoli di accompagnamento per proteggerlo da caccia nemici, avendo pure bisogno di un aiuto esterno per trovare bersagli sia nel supporto aereo ravvicinato che in missioni di attacco in profondità. Secondo tale documento non sappiamo se l’aereo sarà in grado di diventare adatto per supporto aereo ravvicinato per almeno altri cinque anni. Nell’ultima valutazione si sono riscontrate 276 carenze nelle prestazioni di combattimento:
«Il programma avrebbe bisogno di un supplemento di 550 milioni di dollari nell’anno fiscale 2018 per completare lo sviluppo necessario previsto e realizzare le versioni software aggiuntive per correggere e verificare le importanti carenze note e documentate. Ulteriori 425 milioni di dollari nell’anno fiscale 2019 e 150 milioni di dollari per il 2020. Queste stime si aggiungono ad un ulteriore 1,125 miliardi necessari per completare la fase SDD (System Development and Demonstration)» (136).
Addirittura il neo-presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha iniziato a “tuonare” via Twitter contro il caccia F-35, riportandolo sulle prime pagine dei giornali internazionali. Punto focale della sua critica sono gli alti costi del programma e la volontà di ridurli da parte della nuova Amministrazione. Subito l’usuale coro de sostenitori F-35 è entrato in azione scrivendo articoli e moltiplicando interventi per dire che non ci sono alternative a questo caccia (reiterando anche il carattere di “invisibilità” dell’aereo, rivelatosi una falso dal punto di vista operativo).
Non ci interessano qui le polemiche politiche transatlantiche, se non per osservare come da tempo molte voci competenti negli USA hanno chiesto di fermare la produzione fino a quando il programma non avrà completato il processo iniziale di test e valutazione operativa. Una situazione che sarebbe prevista dalla legge federale statunitense e che permetterebbe di verificare le reali capacità del cacciabombardiere. D’altronde se il Pentagono e Lockheed Martin non sono ancora stati in grado di schierare una versione dell’aereo effettivamente utilizzabile dopo 25 anni di sviluppo, sembra poco probabile che ci sia qualche speranza di vedere davvero operativi sui teatri di battaglia gli F-35.
Dopo le critiche di Trump, la Lockheed Martin si è impegnata a ridurre il costo, ma queste promesse sembrano essere solo un tentativo di tagliare qualche milione di dollari di spesa unitaria giocando sul volume complessivo di aerei. In altre parole, il Governo USA (e a ruota tutti i Governi partner del programma) dovrebbero acquistare più aerei da combattimento di utilità dubbia al fine di portarli a casa a un prezzo più conveniente.
Per farlo si sono di nuovo moltiplicate le mirabolanti previsioni di un costo unitario di solo 85 milioni di dollari entro il 2019, affermazione del tutto ingannevole (come tutte quelle rilasciate negli ultimi anni da Lockheed Martin e JPO a riguardo). Per prima cosa si tratterebbe solo del costo per la variante convenzionale F-35A per l’Air Force, la meno costosa delle tre. Inoltre siamo di fronte ad una mera “stima”, non sostenuta da documenti e prove fattuali, che ipotizza che tutto andrà alla perfezione per l’F-35 da qui in avanti e che il Pentagono alla fine decida di comprare più aerei di quanto aveva previsto. Infine, cosa più grave e problematica, tale prezzo andrebbe a comprendere solo la “cellula” e il motore del velivolo, escludendo quanto si dovrà invece investire per correggere i difetti di progettazione che si riscontreranno nelle fasi di test (ricordiamolo, ancora pienamente in corso), una quantità non trascurabile di denaro. È importante ricordare che, anche dopo 25 anni, l’F-35 non è ancora un sistema completamente progettato.
Acquistare un aereo militare da combattimento non è come comprare un’automobile: il prezzo di listino non comprende le stesse cose. Quando una persona acquista un veicolo, il prezzo pagato al rivenditore comprende tutto quanto il produttore ha previsto per un’automobile pienamente funzionante. Quando il Pentagono o un Ministero della Difesa partner del JSF acquista un F-35, il prezzo “di listino” delle parti basilari non comprende tutti i soldi dovuti al capo-fila di produzione nella storia complessiva dell’aereo. Parte fondamentale in questa differenza si ha considerando il costo degli aggiornamenti per correggere l’elevato numero di difetti di progettazione riscontrati in fase di test. Un numero destinato ad aumentare dato che il programma si sta lentamente spostando dalla fase più facile — lo sviluppo o il test “in laboratorio” — a quello delle prove critiche in combattimento.
E’ facile immaginare che i riscontri negativi siano destinati ad aumentare: un buon esempio è verificato verso la fine del 2016, quando gli ingegneri del Pentagono hanno scoperto detriti all’interno del serbatoio del carburante di un F-35. Dopo attenta ispezione si è trovato che l’isolante attorno alle linee di refrigerazione si era disintegrato perché un subappaltatore non era riuscito a utilizzare un corretto sigillante. Tutte le aziende dovranno elaborare, testare e poi mettere in atto sulla linea produttiva le correzioni a tutti questi problemi in tutta la flotta di aerei che Lockheed ha già prodotto e acquistato e in quelli a venire. Un processo costoso che fa elevare all’inverosimile i “costi base” tanto propagandati, quella che il Government Accountability Office chiama la “tassa della concurrency”, stimando in 1,7 miliardi di dollari il suo impatto già ad oggi. Dunque le critiche recenti del Presidente USA sembra che abbiano ottenuto (come in un mercato rionale) il semplice risultato di costringere Lockheed Martin a qualche investimento ulteriore in Texas, per avere circa 1.800 posti di lavoro in più. Notizia che dovrebbe allarmare i fautori del programma in Italia, dato che ciò significherà in automatico meno prospettive di occupazione per la FACO/MRO&U di Cameri.
Non è quindi strano che, a seguito di problematiche tecniche e di sviluppo che paiono ripresentarsi periodicamente senza tregua, ci sia stata una grande opera di “promozione” del programma anche sulla base di elementi che poco avevano e hanno a che fare con le esigenze delle Forze Armate e della loro operatività. In Italia la Difesa ha pubblicamente sponsorizzato il programma F-35 diffondendo sistematicamente, su suggerimento dell’azienda americana Lockheed Martin, informazioni non realistiche sui vantaggi da esso derivanti in termini economici, occupazionali e industriali.
Dal 2012 (138), e ancora oggi (139), la Difesa ripete che il programma JSF produrrà ritorni economici stimati in circa 14,1 miliardi di dollari per tutta la vita del programma (fino al 2035). La stima di Finmeccanica (140) è inferiore, circa 10 miliardi di dollari, ma il punto è un altro. La già citata mozione parlamentare di maggioranza che chiede il dimezzamento del budget originario del programma F-35 (non è chiaro se per “originario” si intenda quello di 16 miliardi di euro per 131 aerei o quello di 13 miliardi per 90) aggiungeva “tenendo conto dei ritorni economici”. Sfruttando questa locuzione, la Difesa ha iniziato a parlare non di dimezzamento del budget (ovvero dell’investimento nel programma) ma del “costo complessivo dell’operazione F35 per le casse dello Stato” secondo un meccanismo di “compensazione” che consentirà di “recuperare l’impatto economico del programma” grazie ai ritorni economici (141). Cioè, lo Stato rientra della metà della cifra investita, quindi il costo finale sarà la metà di quello inizialmente sostenuto. Il problema è che i ricavi del programma, come spiega una fonte anonima di Finmeccanica/Leonardo (142), finiranno nelle casse dell’azienda, non in quelle dello Stato.
«A guadagnare dal programma F35 non sarà lo Stato ma l’industria, perché i ritorni economici per lo Stato, oltre alla normale partecipazione del Tesoro a eventuali utili del gruppo Finmeccanica, saranno solo quelli derivanti dalle royalties normalmente previste per le nazioni che partecipano a questo tipo di programmi internazionali».
Royalties di entità molto esigua, come riconosce una fonte anonima della Difesa:
«Sì le royalties ci saranno, ma si tratterà di cifre irrisorie perché quelle che spettano all’Italia, in quanto nazione-partner del programma F-35, si aggirano intorno al 4 per cento della maggiorazione del costo-aereo applicato alle nazioni acquirenti non-partner come contributo alle spese iniziali di sviluppo cui loro non hanno partecipato, una maggiorazione che ammonta mediamente a una decina di milioni di dollari ad aereo».
Ad oggi le nazioni non partner acquirenti sono Israele, Giappone e Corea del Sud, che per ora hanno ordinato un centinaio di aerei in totale, il che significa circa 40 milioni di dollari di royalties per l’Italia. Una cifra insignificante rispetto ai 13/16 miliardi di euro di costo complessivo del programma. Una cifra che, come riconosce la stessa fonte della Difesa, lo Stato investe secondo la solita logica di sovvenzione pubblica all’industria bellica nazionale.
«Dal punto di vista dell’erario, il programma F35 è un’operazione in perdita intrapresa a sostegno dell’industria nazionale e a vantaggio del sistema-paese. Così come il ministero dell’Agricoltura sostiene le produzioni agroalimentari italiane, noi aiutiamo l’industria aeronautica nazionale».
Passiamo ora alla ricaduta in termini occupazionali. Citando i dati risultanti da uno studio condotto nel 2014 della società di consulenza PricewaterhouseCoopers Italia (143) su commissione di Lockheed Martin, ripresi anche nella brochure sul programma F-35 della stessa azienda americana (144), la Difesa continua a parlare di un potenziale complessivo di 6.400 posti di lavoro (145) (indotto compreso) con una media di 5.450 occupati nel decennio di picco produttivo (2017-2026). Il dato odierno è di 1.200 occupati, metà nella FACO di Cameri e metà nelle piccole e medie imprese che partecipano alla filiera produttiva. Per la fase di picco, le stime sindacali prevedono non più di 2.500 occupati: 1.500 a Cameri (massima capienza strutturale di manodopera dello stabilimento) e un migliaio nelle altre imprese coinvolte, inclusi quelli che lavorano nello stabilimento Alenia di Foggia per la produzione del materiale composito. Dunque poco più di un terzo delle stime della Difesa, e soprattutto un decimo dei 24.000 occupati che lavorano in Italia sul programma Eurofighter (146).
Infine la ricaduta tecnologico-industriale. La Difesa sostiene che la partecipazione italiana ad un programma tecnologicamente avanzato come il JSF rappresenta per l’industria aeronautica militare italiana (l’Alenia Aermacchi del gruppo Finmeccanica/Leonardo) un’opportunità senza precedenti di acquisire tecnologie all’avanguardia e know-how. La realtà è che l’Italia non ha accesso alle tecnologie più avanzate del programma, a partire dalla speciale finitura necessaria a garantire la bassa osservabilità ai radar (la cosiddetta “stealthness”). Questa lavorazione è infatti svolta da maestranze italiane, ma la sua verifica di qualità avviene in un capannone della FACO di Cameri (contraddistinto dalla sigla F5 ATF, Acceptance Test Facility) dove operano esclusivamente personale americano e al quale è interdetto l’accesso a tecnici e militari italiani, come spiegato dal direttore dello stabilimento, l’ingegner Riccardo Busca, nel corso di una visita (147):
«Finita la verniciatura finale, gli americani portano là dentro l’aereo per irradiarlo con particolari frequenze elettromagnetiche al fine di testare la sua invisibilità: se non va bene ce lo riporteranno indietro dicendoci dove intervenire».
Il comandante della base generale Lucio Bianchi, che lo accompagnava nella visita, conferma e ammette:
«Su questo controllo il know how rimane esclusivamente americano».
Le parole più significative sulla reale qualità e ricaduta tecnologica della partecipazione industriale italiana al programma JSF restano quelle pronunciate in Parlamento il 26 settembre (148) e il 16 ottobre 2013 (149) dall’allora amministratore delegato di Finmeccanica, Alessandro Pansa. Parole che provocarono sconcerto e fastidio nei vertici militari:
«Sull’F-35 siamo esecutori intelligenti di scelte altrui (…) scelte politiche e non industriali. (…) Non è con la fornitura di parti d’aerei di grandi dimensioni che Finmeccanica costruisce il suo futuro di operatore tecnologico d’avanguardia. (…) Questo non è un programma di Finmeccanica. Forniamo asset che ci vengono richiesti per perseguire obiettivi diversi da quelli che ci fissiamo come impresa, poiché la proprietà industriale e intellettuale dell’F-35 non è nostra, ma altrui. L’unica ragione per cui, per esempio, Alenia Aermacchi e AgustaWestland esistono, è perché hanno autonomia progettuale di prodotti proprietari, e la leadership la si ha solo quando si possiede il prodotto».
A rincarare la dose critica su questo aspetto del programma è il già citato documento riservato (150) consegnato al Parlamento da alti ufficiali dell’Aeronautica in congedo ed ex dipendenti di Alenia:
«Con il JSF la nostra industria aeronautica retrocede agli anni Sessanta, cioè al livello di manifattura su licenza americana, vanificando gran parte della crescita tecnologica e progettuale acquisita faticosamente con i grandi investimenti pubblici nei programmi europei Tornado e Eurofighter. (…) Di fatto siamo stati esclusi dalle aree tecnologiche più appetibili — motore, guerra elettronica, radar ed altri sensori, integrazione dei sistemi elettronici di bordo e stealth — (a causa dei) vincoli di segretezza posti dal Congresso su moltissime parti del progetto che devono rimanere di esclusiva pertinenza americana».
Gli stessi ambienti militari e industriali hanno discretamente proposto diverse alternative agli F-35, mai prese in considerazione dalla Difesa, che meriterebbero invece un attento esame. Per non gettare al vento i 3,6 miliardi di euro ormai già investiti nel programma JSF (anche per l’acquisizione dei primi otto aerei), l’Italia potrebbe chiedere al Joint Program Office (JPO) che gestisce il programma di allocare gli anticipi non vincolanti già versati per l’acquisizione di altri sette F-35A in modo da arrivare ad averne quindici, vale a dire un gruppo di volo completo, spendendo all’incirca altri 700 milioni (151). Significherebbe tagliare 45 dei 60 F-35A previsti, risparmiando circa 4,6 miliardi di euro. Per quanto riguarda gli F-35B, il già citato documento si conclude affermando che basterebbero i 15 per la Marina (tagliando gli altrettanti F-35B per l’Aeronautica, con un risparmio di circa 1,9 miliardi), acquistandoli direttamente dagli Stati Uniti “verso la metà degli anni venti”, quindi a un costo sicuramente inferiore a quello attuale (152) e stimabile complessivamente nell’ordine di 1 miliardo e 800 milioni di euro. Si potrebbe avere dunque un risparmio complessivo nell’ordine dei 6,5 miliardi di euro, dimezzando — così sì — il budget iniziale di 13 miliardi. Per rimpiazzare Tornado e Amx, si legge sempre nelle conclusioni degli ex alti ufficiali dell’Aeronautica, bastano “gli esemplari più evoluti tutt’ora in consegna” dell’Eurofighter, vale a dire i 68 Eurofighter Typhoon T2/T3 “swing role” (cioè sia caccia da difesa che bombardieri da attacco (153)) — considerati dagli esperti un’alternativa validissima, se non superiore (154), agli F-35, tanto che la Germania li ha preferiti al velivolo americano scegliendo di acquistarne 110 esemplari, tra T2 e T3, scartando gli F-35. Magari potrebbe comprarne di più anche l’Italia — suggerisce sempre il rapporto — ripristinando l’ordine dell’ancor più evoluta tranche 3B (25 Eurofighter per un valore di circa 2 miliardi) annullato nel 2010 proprio in seguito alla decisione di puntare sugli F-35. In alternativa, considerando i 68 Eurofighter “swing role” come sostituiti dei soli Tornado, c’è chi prone una soluzione più economica: rimpiazzare i caccia-bombardieri leggeri Amx con il loro naturale successore, il nuovo M-346K di Alenia Aermacchi (circa 20 milioni di euro ad esemplare contro gli 80 dell’Eurofighter e i 100/125 milioni dell’F-35).
Nonostante la forte opposizione al programma F-35 negli stessi ambienti militari e industriali, un suo serio ripensamento e ridimensionamento rimangono un tabù a causa delle vincolanti implicazioni politico-diplomatiche internazionali che lo contraddistinguono. L’F-35 è stato definito “un aereo a sovranità limitata” non solo per le restrizioni tecnico-operative che ne limitano un impiego nazionale autonomo (155), ma anche per la sua natura di “programma fedeltà” americano strettamente correlato al mantenimento dell’alleanza strategica tra Roma e Washington. Un aspetto, quest’ultimo, emerso molto chiaramente nell’estate del 2013, all’apice del dibattito parlamentare sugli F-35, quando l’allora ambasciatore americano in Italia, David Thorne, organizzò a Villa Taverna un ricevimento per discutere del “programma di cooperazione Italia-Usa sugli F-35”. Era il 13 luglio 2013. Poche ore prima a Palazzo Madama era stata definitivamente approvata la mozione parlamentare di maggioranza che chiedeva la sospensione degli acquisiti italiani di F-35 in attesa delle conclusioni di un’approfondita indagine conoscitiva. La lista degli invitati italiani comprendeva l’allora sottosegretario alla Difesala Roberta Pinotti, il presidente della commissione Difesa del Senato Nicola Latorre, il direttore italiano del programma F-35, colonnello dell’Aeronautica Giovanni Balestri, il Capo di stato maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi, l’allora presidente di Finmeccanica, Gianni De Gennaro, accompagnato dai rappresentanti delle aziende controllare e partecipate del gruppo, Alenia Aermacchi, Selex Es, MBDA Italia Spa ed Elettronica Spa e della società di revisione contabile di Finmeccanica, PricewaterhouseCoopers Italia. Questo il passaggio centrale del discorso tenuto dall’ambasciatore Thorne:
«Perché l’Italia dovrebbe comprare l’F-35? Perché con l’F-35 l’Italia continuerà ad essere nostra stretta alleata e ad avere un posto a tavola quando vengono prese le più importanti decisioni sulla sicurezza regionale e globale. Con l’F-35 l’Italia rimarrà tra gli alleati NATO di prima classe e giocherà un ruolo di leadership».
ALL’ARREMBAGGIO
Il 19 giugno 2013 il Capo di stato maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi, sottopone al Parlamento (156) l’urgenza di un piano da 10 miliardi di euro per il rinnovo della flotta navale italiana per scongiurare “l’estinzione” della Marina in ragione della prevista radiazione di 51 navi (47 navi maggiori e 4 sommergibili) su 60 totali, parlando di nuove navi per “uso duale” (157) che possono servire anche per il “controllo dei flussi migratori, aspetto evidente sotto gli occhi di tutti”.
All’alba del 3 ottobre 2013 un peschereccio di 20 metri con 388 immigrati a bordo naufraga al largo di Lampedusa. Il 18 ottobre, in contemporanea con l’avvio dell’operazione “militare e umanitaria” della Marina Mare Nostrum (158) nel Canale di Sicilia, l’ammiraglio De Giorgi torna alla carica e, citando le “emergenze umanitarie” in corso, torna a chiedere un piano decennale di investimenti addirittura da 12 miliardi per il rinnovo della flotta (159). Il giorno dopo, il governo di Enrico Letta infila nel disegno di Legge di Stabilità 2014 uno stanziamento di 6,8 miliardi di euro (160) (poi scesi a 5,8 miliardi (161)) “al fine di assicurare il mantenimento di adeguate capacità nel settore marittimo a tutela degli interessi di difesa nazionale”. Stanziamento erogato sotto forma di contributi ventennali “da iscrivere nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico”.
Entusiastico e riconoscente il commento del beneficiario designato di questo tesoro, Fincantieri, che dichiara:
«Si tratta di un provvedimento molto importante per il futuro del lavoro dei nostri cantieri e per quello della Marina militare, che come ha più volte ricordato il capo di stato maggiore, ammiraglio De Giorgi, altrimenti rischiava l’estinzione, e che per questo aveva chiesto al governo uno stanziamento di 10 miliardi. Questa decisione del governo è frutto delle forte pressioni esercitate dai sindacati e degli esponenti liguri del Pd più sensibili al futuro dei cantieri regionali: il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando, il senatore ed ex sindaco di Sarzana Massimo Caleo, il senatore membro della commissione Difesa Vito Vattuone e ovviamente il sottosegretario alla Difesa Roberta Pinotti (anche gli ultimi due eletti nella circoscrizione Liguria, ndr)».
Una sensibilità, anche umanitaria, confermata dai commenti rilasciati da questi stessi esponenti politici.
Pinotti: «Questo governo è attento alle richieste della Difesa che, come abbiamo visto nel caso di Lampedusa, ha un’esigenza sempre più forte di presenza della Marina nel nostro mare».
Vattuone: «Si tratta di risorse economiche importanti per il riordino della flotta della Marina militare – ha commentato il senatore Vattuone – che potrà così dotarsi di navi moderne da utilizzare nella protezione civile e per far fronte all’annoso problema dell’immigrazione, causa di tante tragedia umanitarie».
Burlando: «Piena condivisione delle richieste della Marina. Un paese moderno non può fare a meno di una flotta come si deve. Quanto successo a Lampedusa continuerà a succedere».
Dopo il rallentamento legato al passaggio di consegne tra Letta e Matteo Renzi, il programma navale di De Giorgi torna a correre spedito grazie al supporto della Pinotti, promossa a ministro della Difesa, e del nuovo ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi. I dettagli del programma vengono illustrati in Parlamento il 24 giugno 2014 dal neo-ministro Pinotti (162). Si prevede l’acquisto di sei “pattugliatori polivalenti d’altura (PPA) — più quattro opzionali — per la sorveglianza marittima tridimensionale, il controllo flussi migratori, soccorsi in mare, tutela ambientale”, una “unità anfibia multiruolo (LHD, acronimo di Landing Helicopter Dock) per il concorso della Difesa ad attività di soccorso umanitario” quali “supporto alla Protezione Civile in operazioni di disaster relief o nel concorso in operazioni di evacuazione e/o assistenza umanitaria/calamità naturali e ricerca/soccorso”, oltre ad una “unità d’altra di supporto logistico (LSS) con capacità di concorso ad attività di soccorso umanitario” e a due unità veloci per le forze speciali anch’esse “polifunzionali” e impiegabili per “il controllo del fenomeno migratorio”. Al Parlamento, nonostante esplicita richiesta in tal senso, non vengono forniti dettagli tecnici sulle navi da acquistare.
Gli unici dati disponibili in quel momento sono quelli pubblicati sui siti di Fincantieri (163) e OCCAR (164), secondo i quali i PPA saranno lunghi 124 metri e dislocheranno 4.500 tonnellate, mentre la LHD avrà una lunghezza fuoritutto di 190 metri e un dislocamento a pieno carico di 20 mila tonnellate, una grande area ospedaliera e un ponte in grado di ospitare 6 elicotteri. Dati che più meno confermavano le indiscrezioni che circolavano sulla stampa (165). Per entrambe le unità, su riviste di settore e forum online specializzati circolano rendering, diffusi dalla Marina (immagine 7), che mostrano ponti e stive pieni di container banchi con la croce rossa, ambulanze e altri mezzi di soccorso allo scopo di mettere in luce il carattere “dual use” militare-umanitario delle nuove navi.
A novembre il programma navale, limato a 5,4 miliardi e ancora senza dettagli su costo e dimensioni delle singole navi (166), viene esaminato dal Parlamento che lo approva velocemente (167). Prima della pausa natalizia il Governo presenta anche il dettaglio economico del programma (168): in Senato passa subito dopo le feste (169), mentre alla Camera emergono divisioni (anche interne al Partito Democratico) sulla destinazione di una parte consistente dello stanziamento. Inizialmente, infatti, il costo del programma (5,4 miliardi) doveva comprendere anche gli “oneri di finanziamento”, ovvero le spese (1,6 miliardi) per il pagamento delle rate del mutuo (all’incredibile tasso del 41 per cento (170)) che il MISE, come da prassi in questi casi, accende presso le banche accreditate per finanziare la realizzazione del programma, che quindi avrebbe avuto un budget netto di 3,8 miliardi: 2 miliardi e 620 milioni per i sei pattugliatori polivalenti d’altura (quindi 437 milioni l’uno), 844 milioni per l’unità anfibia multiruolo, 325 milioni per l’unità di supporto logistico e 40 milioni per le due unità veloci. Quando il Governo cambia le carte in tavola e decide di non ricorrere al mutuo, finanziando direttamente l’intero programma da 5,4 miliardi, il deputato democratico Gian Piero Scanu (relatore del provvedimento in Commissione Difesa) chiede che la cifra non più necessaria per gli oneri di finanziamento venga risparmiata e non impiegata per l’acquisto dei quattro pattugliatori opzionali come invece voleva la Difesa. Quindi chiede il rinvio dell’approvazione per approfondire la cosa, denunciando un clima tutt’altro che sereno (171):
«Manifesto forte disappunto per le pressioni che, da diverse parti, sono state esercitate con intensità su diversi componenti la Commissione in modo da poter orientare il parere della Commissione».
Una denuncia che suscita clamore e nervosismi, che sfociano addirittura in una lite di corridoio tra lo stesso Scanu e il suo compagno di partito, Salvatore Piccolo (172). L’ammiraglio De Giorgi e gli esponenti politici che sostengono il programma navale non la prendono bene (definiscono Scanu “un pazzo che non si ferma neanche con il bazooka” (173)) ma, dopo giorni di trattative, si torva un compromesso di forma e l’approvazione arriva (174): la Difesa potrà spendere tutta la cifra per “implementare il programma”, ma solo dopo averne informato il Parlamento (175).
Il 30 marzo Federica Guidi, Roberta Pinotti, Pier Carlo Padoan firmano il decreto interministeriale che destina al programma tutti i 5,4 miliardi (176), con costi di realizzazione molto superiori rispetto a quelli presentati al Parlamento solo pochi mesi prima (immagine 8): il costo dei pattugliatori passa da 2,6 a 3,9 miliardi (non più solo sei o molto più cari di prima) e quello dell’unità anfibia passa da 844 a un miliardo e 126 milioni.
Il decreto viene timbrato dalla Corte dei Conti il 29 aprile e pochi giorni dopo, senza nessuna informativa al Parlamento, viene firmato il primo contratto da 3,5 miliardi (177) per la nave da supporto logistico (346 milioni secondo il decreto) e i primi sei pattugliatori, che quindi risultano effettivamente molto più cari di prima, 526 milioni l’uno invece di 437. Il 1° luglio arriva il secondo contratto (178) per l’unità anfibia, al costo maggiorato indicato nel decreto: la notizia arriva in Parlamento e il deputato Massimo Artini (all’epoca capogruppo M5S in Commissione Difesa) chiede spiegazioni alla Difesa (179), che affida la replica al sottosegretario Gioacchino Alfano (180):
«La progressiva definizione delle specifiche tecniche e la relativa analisi tecnico-economica hanno portato a determinare nel dettaglio la tipologia e il costo delle acquisizioni necessarie per il completo soddisfacimento del requisito operativo, consentendo di correlarne l’esigenza finanziaria con le risorse effettivamente disponibili» (tutti i 5,4 miliardi, ndr), specificando che l’aumento del costo dell’unità anfibia non deriva da «alcun incremento delle capacità originariamente previste dal requisito operativo della LHD».
L’11 novembre 2015, sempre senza alcuna informativa al Parlamento, viene firmato il contratto per un settimo pattugliatore (181).
In realtà, l’aumento dei costi si accompagna a un notevole aumento delle dimensioni delle navi, come risulta dalle informazioni e dai progetti navali che trapelano dagli ambienti della Marina e di Fincantieri (immagine 9). I pattugliatori (PPA) crescono sia in lunghezza (da 124 a 143 metri (182)) che in dislocamento (da 4.500 a 6.200 tonnellate), trasformandosi in fregate/cacciatorpediniere lanciamissili da prima linea sovrapponibili – anche per il costo (183) – alle dieci nuove fregate FREMM (142 metri per 6.900 tonnellate). La nave anfibia (LHD) si allunga (da 190 a 245 metri (184)) e si appesantisce (da 20.000 a 32.306 tonnellate) assumendo caratteristiche (ponte di volo da 230 metri e scorte di carburante aereo per 1.993 m³) che la rendono di fatto una portaerei, la Trieste, uguale se non più grande della Cavour (244 metri fuori tutto, 27 mila tonnellate di dislocamento a peno carico, ponte da 220 metri e scorte di carburante aereo da 2.000 m³) in grado di imbarcare gli F-35B dell’Aeronautica (anche grazie al trampolino prodiero, in gergo ski-jump, e a due jet blast deflector previsti in alcuni dei progetti in circolazione).
A fugare ogni dubbio sulla sua reale natura delle nuove navi rispetto a quanto comunicato al Parlamento, sono i sarcastici commenti delle comunità web di militari, ex militari ed esperti del settore, a proposito dei prevedibili dissidi tra Marina e Aeronautica sul comando degli F-35B imbarcati sulla Trieste:
«l’AMI si limiterebbe a usare Cavour e Trieste come delle basi avanzate schierando sopra aerei, personale e attrezzature proprie. (…) Questo è appunto quello che l’ AMI ha in mente. Ed è quello che la MM non permetterà mai. (…) Il giorno che vedrò l’ AMI firmare, nero su bianco, un accordo vincolante per cui dei suoi eventuali F-35B imbarcati passerebbero sotto comando navale, mi mangio un gatto vivo». (185)
«Se esiste un Dio giusto e misericordioso, tutti gli F-35B saranno MM (…) Allora è per questo che la semplice LHD che era in programma è diventata il Trieste che in pratica è una Cavour II» (186)
Ma i commenti più interessanti riguardano la strategia comunicativa della Marina nei confronti del Parlamento e dell’opinione pubblica, basta sulla “manfrina del dual-use” (187), “parola magica” (188) “inventa per far digerire la medicina all’opinione pubblica” (189):
«Uno dei comportamenti che più ha agevolato la legge navale, è la comunicazione della Marina che ha “tolto” il lavoro sporco ai politici, permettendo di presentare navi militari come dual use, e in generale costruendo una immagine tutt’altro che bellica. A questo punto diventa molto più facile per i politici approvare spese che servono all’industria, ai parlamentari delle zone dei cantieri, ai sindacati, ecc…» (190)
«I container (sui rendering dei PPA, ndr) fanno molto dual use e quindi molto comodo in fase di richiesta di finanziamento a livello politico» (191)
«Se la linea politica è che le caratteristiche militari sono brutte e antipopolari, il Capo di stato maggiore della Marina non può andare a parlare estensivamente di esse ad esempio un giornale… Il giorno dopo può essere facilmente immaginato, fra interrogazioni parlamentari, raccolte firme e inchieste giornalistiche sugli sprechi della guerra, che descriverebbero qualsiasi nuova realizzazione come uno spreco sulla stessa scala dell’F-35 (…) in Italia dato il basso livello culturale a proposito, parlare di armamenti è quasi considerato un tabù, e invece parlare di protezione civile porta plausi da tutte le parti politiche e sociali».
«Si dovrebbe cominciare a far capire perché serve (la difesa, ndr), con nozioni chiare, comprensibili, e soprattutto senza menare il can per l’aia proponendo cose che non stanno da nessuna parte. Perché se vendo una LHD per una nave ospedale, ma davvero mi stupisco che qualcuno dica ‘allora compriamo direttamente una nave ospedale’? Se dico che gli aerei da bombardamento non servono per bombardare, davvero posso stupirmi se qualcuno dice ‘ma allora compriamo elicotteri per l’elisoccorso?»
«Il problema non è De Giorgi; anche se, con questa storia del “dual use”, mi pare che stia veramente andando ogni limite (ricordo che i sottomarini in funzione di contrasto alle trivellazioni abusive non è una mia provocazione ma proprio una dichiarazione del Capo di stato maggiore della Marina)…. A mo’ di provocazione: che cosa potrebbe succedere se, un determinato giorno, PPA, LHD etc. ce le ritroviamo impegnate in un conflitto vero e proprio, con tanto di morti, feriti e sangue (anche civili)? Ma come, non erano quelle navi che dovevano portare elettricità, acqua potabile, soccorso alle popolazioni colpite da calamità naturali, che dovevano fare da ospedali galleggianti, che dovevano fare lotta all’inquinamento o ricerca e soccorso, salvare i gattini rimasti sugli alberi, ecc.?» (192)
«Dobbiamo mascherare la necessità di una lanciamissili quale Pattugliatore da impiegare in missioni antinquinamento o per il soccorso di naufraghi per averlo
«Si deve mascherare il tutto da “dual use for ever” perché un LHA/LHD diversamente come la giustifichi? Idem i Pattugliatori che altro non sono che delle Fregate e pure “belle grosse” (…) dobbiamo mascherare la necessità di una lanciamissili quale pattugliatore da impiegare in missioni antinquinamento o per il soccorso di naufraghi per averla» (193)
Oltre a questa capziosa presentazione delle navi richieste, Difesa e Marina hanno fornito al Parlamento numeri non del tutto corretti sul numero delle unità da dismettere e quindi da rimpiazzare. Come accennato, l’ammiraglio De Giorgi ha presentato un piano di dismissione decennale (2015-2025) di 51 delle 60 unità in servizio (tabella 14). Nella realtà le navi realmente da rimpiazzare sono 44, poiché sei pattugliatori entrati in servizio nei primi anni 2000 (quattro della classe Comandanti e due della classe Sirio) e la rifornitrice Etna (entrata in servizio nel 1998) non necessitano sostituzione se non negli ’30, come confermano le informazioni fornite nel 2014 dai tre arsenali della Marina, secondo cui queste sette unità sono previste ancora in servizio al 2030 (194).
A titolo di curiosità: per giustificare la necessità dei nuovi pattugliatori (10, in prospettiva 16), la Marina ha dichiarato tra le navi da rimpiazzare (immagine 10) anche unità radiate ormai a inizio secolo e già rimpiazzate con le FREMM (196), vale a dire le quattro fregate classe Lupo (197) messe fuori servizio nel 2000 e poi vendute al Perù.
Un programma, di nuovo, sovradimensionato non solo rispetto al numero dei mezzi da sostituire, ma anche rispetto a quelle che sono le reali esigenze operative e strategiche di sicurezza nazionale. Quando queste nuove navi entreranno in servizio, la Marina italiana schiererà due portaerei e diciannove unità di primo rango (due cacciatorpediniere Orizzonte – più il cacciatorpediniere Mimbelli fino al 2029 – e diciassette fregate tra FREMM e PPA) superando la Marina francese (una portaerei e quindici unità di primo rango) e ponendosi al pari della potenza navale inglese.
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NOTE
92 Anche l’impiego operativo all’estero risponde a logiche di marketing internazionale piuttosto che di reale necessità operativa.
93 Quando l’Italia costituiva uno strategico baluardo contro possibili invasioni terrestri sovietiche e quindi doveva dotarsi di forze corazzate sufficienti per reggere la prima ondata offensiva della temuta Armata Rossa.
94 http://milex.org/wp-content/uploads/2017/02/Centauro2.pdf
95 http://milex.org/parlamento-approva-spesa-1-miliardo-per-nuovi-carri-armati-ed-elicotteri-da-attacco/
96 http://milex.org/wp-content/uploads/2017/02/Mangusta2.pdf
97 http://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_int_concluse/ISAF/notizie_teatro/Pagine/TestatiEli_AW129DMangusta.aspx
98 La versione turca dell’elicottero da attacco A-129 Mangusta, rinominato T129 Atak, è regolarmente impegnato in missioni di bombardamento contro i ribelli indipendentisti curdi (http://www.defensenews.com/story/defense/air-space/strike/ 2015/05/05/turkey-helicopter-kurdish-rebels-t129-tai-agustawestland/26916377/).
99 http://www.difesa.it/Approfondimenti/ArchivioApprofondimenti/Libro_Bianco/Documents/62408_costi.pdf
100 http://www.matteopro.com/images/Avionica/Industria_aeronautica-stato_e_strategie_del_settore.pdf
101 http://www.ferreamole.it/images/brgariete/ariete.htm
102 http://www.portaledifesa.it/forum/showthread.php?tid=99&page=221
103 http://www.difesa.it/Content/Documents/nota_aggiuntiva/86808_NotaAggiuntiva2005.pdf 104 http://www.freeforumzone.com/lofi/lofi.aspx?D1552733.html
105 http://www.aereimilitari.org/forum/topic/10601-libanoseconda-guerra-del-libanounifil-discussione-ufficiale-dal-2006-ad-oggi/page-7
106 http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2009/12/afghanistan-militari-italiani-blindati-Freccia-ARX-160.shtml 107 http://www.portaledifesa.it/forum/showthread.php?tid=99&page=221
108 http://www.difesa.it/Content/Documents/nota_aggiuntiva/22689_na_2003.pdf
109 http://www.paolacasoli.com/tag/centauro/
110 http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-08-06/afghanistan-debuttano-blindati-freccia-160016.shtml
111 http://www.occar.int/34
112 http://www.defensenews.com/story/defense/land/vehicles/2015/12/17/germanys-army-procures-new-boxer-armored-personnel-carriers/77491026/
113 http://www.lanotiziagiornale.it/mezzi-strapagati-che-restano-blindati-in-garage/
114 http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/pdf/04/audiz2/audizione/2015/10/07/leg.17.stencomm.data20151007.U1.com04.audiz2.audizione.0003.pdf
115 http://www.iveco-otomelara.com/wheeled/VBA.php
116 http://www.janes.com/article/61434/eurosatory-2016-iveco-defence-vehicles-unveil-new-generation-lmv
117 335 milioni per la prima tranche di 1.150 mezzi (http://www.difesa.it/Content/Documents/nota_aggiuntiva/3171_Nota_Aggiuntiva_2009.pdf), 202 milioni per la seconda tranche di 479 mezzi in versione 1A (http://www.difesa.it/ Approfondimenti/Nota-aggiuntiva/Documents/NotaAggiuntiva2012.pdf) e 53 milioni per le torrette reumatizzate e le protette (ibidem)
118 http://www.esercito.difesa.it/organizzazione/capo-di-sme/Comando-Forze-Operative-Sud/Divisione-Acqui/Brigata-Meccanizzata-Pinerolo/Pagine/Forza-NEC.aspx
119 Acronimo che sta per Command, Control, Communications, Computers and Intelligence
120 http://www.esercito.difesa.it/equipaggiamenti/progetto-soldato-futuro/Pagine/default.aspx 121 http://pubblicazioni.iai.it/pdf/Quaderni/iaiq_02.pdf
122 http://www.difesa.it/Content/Documents/DPP/DPP_2016_2018.pdf
123 L’adesione dell’Italia al programma JSF si è articolata in diverse fasi:
• 1996 (primo governo Prodi, Andreatta alla Difesa): fase concettuale dimostrativa (Concept Demonstration Phase-CDP) per
un impegno previsto di 10 milioni di dollari.
• 2002 (secondo governo Berlusconi, Martino alla Difesa): fase sviluppo prototipi (System Development and Demonstration-
SDD) per un impegno previsto di 1.028 milioni di dollari.
• 2007 (secondo governo Prodi, Parisi alla Difesa): fase sviluppo industriale (Production, Sustainment and Follow-on
Development-PSFD) per un impegno previsto di 904 milioni di dollari.
• 2009 (quarto governo Berlusconi, La Russa alla Difesa): fase acquisizione 131 velivoli per un impegno previsto di 16.588
milioni di dollari (più 775 milioni di dollari per la FACO di Cameri).
La decisione del governo (http://milex.org/wp-content/uploads/2017/02/Programma-JSF.pdf) ha avuto l’approvazione delle commissioni Difesa del Parlamento l’8 aprile 2009 (http://leg16.camera.it/453?bollet=_dati/leg16/lavori/bollet/ 200904/0408/html/04 e http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp? tipodoc=SommComm&leg=16&id=00411403&part=doc_dc&parse=no&aj=no)
124 Cfr. dichiarazioni rese il 16 gennaio 2007 in Parlamento dal Sottosegretario alla Difesa, Lorenzo Forcieri: pag 13 (http://leg15.camera.it/_dati/lavori/stencomm/04/audiz2/2007/0116/INTERO.pdf)
125 https://www.f35.com/assets/uploads/documents/FG16-1464_003_Italian_5-31.pdf
126 http://documenti.camera.it/leg16/dossier/testi/DI0108.htm e https://www.scribd.com/document/27971868/World-Air-Forces-December-2009
127 https://www.eurofighter.com/the-aircraft#weapons
128 Cfr. dichiarazioni rese il 28 luglio 2004 in Parlamento dal capo del IV reparto della Segreteria generale del Ministero della Difesa, generale Giuseppe Bernardis: pagg. 15 e 16 (http://wai.camera.it/_dati/leg14/lavori/stencomm/04/ audiz2/2004/0728/pdf001.pdf)
129 http://milex.org/wp-content/uploads/2017/02/Riflessioni-sul-programma-JSF-F35.pdf
130 http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/showXhtml.asp?highLight=0&idAtto=23597&stile=7
131 Le voci con asterisco per complessivi 12,3 miliardi sono riportate nella Relazione 2015 sullo stato di attuazione dei programmi di ammodernamento (http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Attivit–i/Bilancio_di_previsione/ Bilancio_finanziario/2016/AllegatoaldisegnodiBilancio/DLB_2016_DLB-04-AT-120-Difesa.pdf). La voce SSD è riportata nel DPP 2016 (http://www.difesa.it/Content/Documents/DPP/DPP_2016_2018.pdf) e le ultime due su predisposizione basi e portaerei e MRO&U nel DPP 2015 (www.difesa.it/Approfondimenti/Bilancino2010/Documents/DPP%202015-2017.pdf)
132 Cfr. punto 9 pag 13 dell’allegato C del PP 2015 (www.difesa.it/Approfondimenti/Bilancino2010/Documents/DPP%202015-2017.pdf) e tabella X pag. 624 della Relazione 2015 sullo stato di attuazione dei programmi di ammodernamento e rinnovamento di mezzi, impianti e sistemi relativa al 2014, allegata allo stato di previsione del Ministero della Difesa (http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Attivit–i/Bilancio_di_previsione/Bilancio_finanziario/2016/ AllegatoaldisegnodiBilancio/DLB_2016_DLB-04-AT-120-Difesa.pdf)
133 Cfr. punto 11 pag.10 dell’allegato C del DPP 2016 (http://www.difesa.it/Content/Documents/DPP/DPP_2016_2018.pdf) e tabelle 78-83 pagg. 239-247 della Relazione ministeriale 2016 sullo stato di attuazione die programmi di a/r relativa al 2015 (http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/245/001/INTERO.pdf).
134 http://www.defense.gov/News/Contracts/Search/F-35
135 http://www.difesa.it/Amministrazionetrasparente/segredifesa/Pagine/default.aspx
136 “F-35, nuova relazione: riscontrate 276 carenze, il velivolo non è assolutamente pronto per una missione reale” su DifesaOnline del 13 gennaio 2017: http://www.difesaonline.it/mondo-militare/f-35-nuova-relazione-riscontrate-276- carenze-il-velivolo-non-è-assolutamente-pronto
137 https://www.f35.com/global/participation/italy/translate
138 http://leg16.camera.it/470?shadow_organo_parlamentare=1497&stenog=/_dati/leg16/lavori/stencomm/04/audiz2/2012/0201&pagina=s010
139 http://www.difesa.it/Content/Documents/DPP/DPP_2016_2018.pdf
140 http://www.milanofinanza.it/news/f35-pansa-10-mld-usd-ricavi-potenziali-industria-italiana-201310161632201279
141 http://video.repubblica.it/dossier/iraq-avanzata-is/f35-pinotti-ne-confermati-ne-disdetti-spenderemo-meno/192473/191435
142 http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/18/difesa-dal-libro-bianco-escono-gli-f35-gioco-dei-costi-ricavi-resta-giallo/1601494/
143 https://www.f35.com/assets/uploads/documents/PwC-JSF-Italy.pdf
144 https://www.f35.com/assets/uploads/documents/FG16-1464_003_Italian_5-31.pdf 145 http://www.difesa.it/Content/Documents/DPP/DPP_2016_2018.pdf
146 Nel programma Eurofighter l’industria italiana ha una partecipazione industriale molto maggiore in quanto membro del consorzio produttivo con una quota partecipativa del 19 per cento, mentre nel programma JSF l’Italia è partner sub-fornitore di secondo livello con quota partecipativa del 4 per cento.
147 http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/30/f35-nella-fabbrica-dei-caccia-ecco-lottavo-italiano-ma-per-pinotti-sono-sei/1075933/
148 http://webtv.camera.it/evento/4064 149 http://webtv.camera.it/evento/4145
150 http://milex.org/wp-content/uploads/2017/02/Riflessioni-sul-programma-JSF-F35.pdf
151 Considerando che per i lotti produttivi 9 e 10 il costo medio dichiarato da Lockheed Martin per ogni F-35A, motore compreso, si aggira intorno ai 95 milioni di dollari ad aereo comprensivo di motori (https://www.f35.com/news/detail/ agreement-reached-on-lowest-priced-f-35s-in-program-history). Questo costo, riferito ai soli lotti futuri, non va confuso con il costo medio degli F35A che, considerati quelli dei primi tre lotti produttivi acquistati a circa 150 milioni l’uno, sale a 110 milioni di euro.
152 Il costo ufficiale dell’F-35B è di circa 123 milioni di dollari ad aereo secondo gli ultimi dati della Lockheed Martin (https://www.f35.com/news/detail/agreement-reached-on-lowest-priced-f-35s-in-program-history).
153 https://www.eurofighter.com/the-aircraft#weapons
154 http://www.businessinsider.com/the-f-35-will-never-beat-the-eurofighter-2013-2?IR=T
155 http://www.analisidifesa.it/2016/08/litalia-e-lf-35-confermata-la-sovranita-limitata/
156 http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/pdf/04c04/audiz2/audizione/2013/06/19/leg.17.stencomm.data20130619.U1.com04c04.audiz2.audizione.0004.pdf
157 http://www.marina.difesa.it/cosa-facciamo/capacita-dual-use/Pagine/dual-use.aspx
158 http://www.marina.difesa.it/cosa-facciamo/operazioni-concluse/Pagine/mare-nostrum.aspx
159 http://www.ansa.it/mare/notizie/portielogistica/news/2013/10/18/Difesa-Marina-Militare-chiede-12-md-investimenti-10-anni_9481235.html
160 http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/21/legge-stabilita-7-miliardi-per-nuove-navi-da-guerra-della-marina/748067/
161 Comma 37, articolo1 della Legge di Stabilità 2014 (http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/12/27/13G00191/sg)
162 http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/305365.pdf 163 http://archive.is/QAth5
164 http://www.occar.int/328
165 http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-04-03/la-marina-militare-smantella-vecchie-navi-e-studia-nuova-flotta-finanziata-legge-stabilita-214938.shtml?uuid=AB3S4B8
166 http://milex.org/wp-content/uploads/2017/02/Programma-Navale.pdf e http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Pdf/DI0200.Pdf
167 Il 19 novembre 2014 passa al Senato (http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/ProcANL/ProcANLscheda31122.htm) e il 4 dicembre alla Camera (http://www.camera.it/leg17/682?atto=116&tipoAtto=Atto&leg=17&tab=3#inizio)
168 http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/826303.pdf
169 http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/ProcANL/ProcANLscheda31511.htm
170 Finanziamento complessivo: € 3.829.000.000; oneri di finanziamento: € 1.598.908.654, pari al 41,75 per cento (Cfr. pag. 35 http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/bollettini/pdf/2015/01/20/leg.17.bol0372.data20150120.com04.pdf).
171 http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/bollettini/pdf/2015/01/15/leg.17.bol0370.data20150115.com04.pdf
172 https://www.youtube.com/watch?v=pgxTfVyMpjM
173 http://lanuovasardegna.gelocal.it/regione/2016/04/11/news/scanu-ostacolo-alla-cricca-dobbiamo-fermarlo-1.13280605?refresh_ce
174 http://www.camera.it/leg17/682?atto=128&tipoAtto=Atto&leg=17&tab=3#inizio
175 Cfr. parere approvato, allegato 1 a pag. 34 del resoconto stenografico della seduta (http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/bollettini/pdf/2015/01/20/leg.17.bol0372.data20150120.com04.pdf)
176 http://milex.org/wp-content/uploads/2017/02/Decreto-Programma-Navale.pdf
177 https://www.fincantieri.com/contentassets/b5f64bd23e6c46ada90efbf9064cea34/fincantieri-e-finmeccanica-rinnoveranno-la-flotta-della-marina-militare.pdf
178 https://www.fincantieri.com/contentassets/2f737eb7c9eb4a3eb53813bbfe35320d/fincantieri-e-finmeccanica-si-aggiudicano-il-contratto-per-ununita-anfibia-multiruolo-lhd-per-la-marina-militare.pdf
179 http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=5/06174&ramo=CAMERA&leg=17
180 http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/bollettini/pdf/2015/07/30/leg.17.bol0493.data20150730.pdf
181 https://www.fincantieri.com/contentassets/49eb40b93d754f408b8b1ba212d819b2/fincantieri-e-finmeccanica-sale-a-7-il-numero-dei-pattugliatori-per-la-marina-militare.pdf
182 Lunghezza confermata anche dalla scheda aggiornata Fincantieri (https://www.fincantieri.com/globalassets/prodotti-servizi/navi-militari/scheda_ppa-multipurpose_offshore_patrol_vessels.pdf)
183 Il costo medio unitario delle FREMM è di 597 milioni, contro i 523 milioni dei PPA.
184 Lunghezza confermata anche dalla scheda aggiornata Fincantieri (https://www.fincantieri.com/globalassets/prodotti-servizi/navi-militari/scheda_lhd-landing_helicopter_dock.pdf)
185 http://difesa.forumfree.it/?t=69803302&st=2085
186 http://difesa.forumfree.it/?t=69803282&st=990
187 http://difesa.forumfree.it/?t=71167414&st=60
188 http://www.portaledifesa.it/forum/showthread.php?tid=23&pid=42507 189 http://difesa.forumfree.it/?t=71167414
190 http://vivereama.rid.it/forum/showthread.php?tid=23&page=291
191 http://www.portaledifesa.it/forum/showthread.php?tid=409&highlight=dual
192 http://difesa.forumfree.it/?t=71167414
193 http://difesa.forumfree.it/?t=71167414&st=15
194 Cfr. tabella a pag. 73 dell’indagine della Corte dei Conti: http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sez_centrale_controllo_amm_stato/2014/delibera_22_2014_g.pdf
195 Audizione Capo di stato maggiore della Marina del 19 giugno 2013 (http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/pdf/04c04/audiz2/audizione/2013/06/19/leg.17.stencomm.data20130619.U1.com04c04.audiz2.audizione.0004.pdf) e Piano di dismissioni per il decennio 2015-2025 (http://www.marina.difesa.it/uominimezzi/nuoviprogetti/Documents/ Piano%20di%20dismissioni%20delle%20Unit%c3%a0%20Navali%20entro%20il%202025.pdf). Da notare che l’elenco riporta la prevista dismissione di 57 navi in tutto, conteggiando sei navi non comprese nel piano di dismissioni di 51 navi: le prime quattro della lista che all’epoca erano già in fase di dismissione (le corvette Minerva e Sibilla, e i cacciamine Lerici e Sapri) e due che invece rimarranno in servizio (le due unità idrografiche Galatea e Aretusa).
196 http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=14&id=182039
197 Cfr. slide a pag. 84 del resoconto stenografico dell’audizione di De Giorgi del 19 giugno 2013 (http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/pdf/04c04/audiz2/audizione/2013/06/19/leg.17.stencomm.data20130619.U1.com04c04.audiz2.audizione.0004.pdf) e pag. 28 del documento dello Stato maggiore della Marina “Prospettive e orientamenti di massima della Marina militare per il periodo 2015-2025” del novembre 2014 (http://www.marina.difesa.it/conosciamoci/editoria/marivista/Documents/supplementi/supplemento_novembre_2014.pdf)