In Italia, manco a dirlo, la notizia è passata in sordina. Eppure avrebbe dovuto far sobbalzare istituzioni e industrie militari che, nel programma Joint Strike Fighter F-35, stanno spendendo ormai da anni soldi. Perché l’ultimo rapporto annuale sull’ormai tristemente famoso caccia militare, firmato da Michael Gilmore, direttore uscente del dipartimento test del Pentagono, attesta un dato incontrovertibile: i problemi tecnici degli F-35 aumentano invece che diminuire, tanto che oggi se ne contano ben 276, con tutte le conseguenze del caso (dai ritardi per tentare di risolverli all’inevitabile aumento dei costi).
Ma entriamo nel dettaglio. Già, perché i difetti segnalati da Gilmore non sono di poco conto. A cominciare dal fatto che i software di bordo non sono affidabili, addirittura vengono definiti dai piloti «inutilizzabili e pericolosi». Nel rapporto si legge, ad esempio, che c’è un grosso problema di visuale vista la «bassa capacità per il pilota di discernere le caratteristiche di destinazione e di identificare obiettivi a intervalli tattici utili». Cosa vuol dire in concreto? Semplice: «Effetti ambientali, come l’umidità elevata, spesso costringono i piloti a volare più vicino al bersaglio di quanto desiderato per discernere le sue caratteristiche e poi impegnarsi nell’attacco, molto più vicino di quanto necessario […] potenzialmente allertando il nemico, esponendo l’F-35 alle minacce intorno alla zona di destinazione».
Detta in altri termini, si espone il pilota al pericolo di morte, semplicemente – e banalmente – perché non ci si vede. Ma non è finita qui. Perché, ad esempio, tra i vari difetti critici curiosi sono anche quelli riferiti al peso del caccia che rende «inaccettabile» la qualità del volo a velocità elevata. E anche quando si spara, l’F-35 si dimostra goffo, dato che si registrano «vibrazioni eccessive» quando il cannoncino fa fuoco, con la conseguenza inevitabile che si modifica l’assetto di tiro, senza dimenticare il limitato carico di colpi (solo 200). Inevitabile, dunque, che nei test ancora una volta l’F-35 sia stato completamente abbattuto dai “vecchi” F-16.
FINANZIAMENTO INFINITO – Eppure, come detto, meglio che non si sappia nulla dell’ultimo clamoroso fallimento dei super-caccia. Non fosse altro che per un motivo: nell’ultima relazione realizzata dall’Osservatorio sulle spese militari (Milex), c’è un capitolo intero dedicato alla quaestio F-35, da cui si evince che, nonostante mille promesse e mille impegni, nulla è cambiato. Anzi. Nel 2012 Matteo Renzi, allora sindaco di Firenze ma già in forte ascesa nel partito, disse: «Continuo a non capire perché buttar via così tanto sulle spese militari, a partire dalla dozzina di miliardi necessari a comprare i nuovi F-35. Anche basta, dai». Ecco, secondo quanto riportato da Milex, non solo la spesa è stata confermata ma anzi «si evidenzia al contrario un aumentato di budget da 13 a 14 miliardi complessivi» (ne abbiamo già spesi 3,6). In altre parole, gli F-35 evidentemente non funzionano, ma noi aumentiamo la spesa. Non fa una grinza.
L’alibi, sin dal placet al programma militare (2009) è che questo, tra le altre cose, avrebbe portato benefici occupazionali notevoli. Non a caso la Difesa continua a parlare di un potenziale complessivo di 6.400 posti di lavoro, indotto compreso. Peccato però che il dato odierno tocchi quota 1.200 occupati, metà nella FACO di Cameri (dove sono assemblati i caccia) e metà nelle piccole e medie imprese che partecipano alla filiera produttiva. C’era poi la promessa di una crescita del know-how tecnologico-militare. Peccato, però, come ricostruisce ancora Milex, l’Italia non ha accesso alle tecnologie più avanzate del programma, accessibili invece solo al personale statunitense. Clamoroso quanto detto dal direttore dello stabilimento, l’ingegner Riccardo Busca, nel corso di una visita: «Finita la verniciatura finale, gli americani portano là dentro l’aereo per irradiarlo con particolari frequenze elettromagnetiche al fine di testare la sua invisibilità: se non va bene ce lo riporteranno indietro dicendoci dove intervenire».
ZERO TRASPARENZA – Insomma, un programma disastroso. E non a caso nel 2014 la Camera dei Deputati votò e approvò una mozione (presentata, peraltro, da un deputato dem, Gian Piero Scanu) che impegnava formalmente il Governo a dimezzare il budget originario del programma F-35. Peccato che l’esecutivo (prima targato Renzi, ora targato Gentiloni) abbia sbugiardato il Parlamento non recependo la mozione e facendola cadere in un nulla di fatto. Ma c’è di più. «La mozione – ci racconta il coordinatore della Rete per il Disarmo, Francesco Vignarca a Linkiesta – andava nella giusta direzione e da lì, secondo noi non a caso, è nato un gravissimo problema di trasparenza». Secondo quanto ci spiega ancora Vignarca, fino ad allora erano consultabili, sia nella Legge di Stabilità sia nel Dpp (Documento Programmatico Pluriennale) della Difesa, tabelle in cui erano riscontrabili i finanziamenti per gli acquisti armati e, specificatamente, sugli F-35. «Se l’anno prima lo stanziamento era pari a 10 milioni – dice ancora Vignarca – ci aspettavamo scendesse a 5, per via della mozione. E invece niente: è scomparsa. Oggi quelle tabelle sia nella Stabilità che nel Dpp non ci sono più». Da allora le associazioni hanno cercato in ogni modo di avere risposte dalle istituzioni, «anche tentando di ricostruire le spese italiane tramite i vari lotti che riguardano il nostro Paese e tramite i documenti della Difesa americana», ma la riposta è stata sempre uno «spaventoso muro di gomma».
Come se non bastasse, c’è anche un’altra mozione affossata, quella presentata da Roberto Cotti (M5S) per impedire, almeno, che gli F-35 imbarchino bombe nucleari: «l’abbiamo presentata due anni fa – ci racconta – e nonostante fosse stata firmata dal 20% dei senatori non è mai stata calendarizzata, come invece vorrebbe il regolamento. Ma ora torneremo all’attacco, dato che il numero dei firmatari proprio in questi giorni è cresciuto: siamo arrivati a 107 su 320. Ora Grasso non ha più scusanti». Vedremo cosa accadrà.